Islam e globalizzazione
I Paesi islamici sono stati investiti, come tutto il resto del mondo, dal fenomeno della globalizzazione e già da tempo gli studiosi musulmani hanno avviato una riflessione approfondita su questo tema.
La prima questione che ha dovuto affrontare il mondo islamico è stato quello della “modernizzazione” a contatto con il mondo europeo. Il confronto col mondo moderno non è un fatto recente nella storia islamica. Occorre ricordare che il sorgere e il maturare del «mondo moderno occidentale» è avvenuto di fronte e nel confronto con l’impero islamico ottomano che, fino alla fine della prima guerra mondiale, ha rappresentato una delle grandi potenze del Mediterraneo. Scambi e scontri fra i due mondi sono sempre esistiti. La spedizione di Napoleone in Egitto (1798) ha rappresentato un confronto più ravvicinato, e perciò più drammatico, fra mondo islamico e mondo occidentale. Per tale motivo tale data è stata scelta nei testi storici come il punto di partenza della «Rinascita del mondo arabo» (nahda).
Oggi, il mondo islamico si confronta con l’esito estremo della modernità, la cosidetta “globalizzazione”.
L’intellighenzia islamica è divisa fra tre diversi atteggiamenti nei confronti della globalizzazione: c’è chi la rifiuta in quanto massima espressione dell’imperialismo e dell’invasione culturale; chi la accoglie con favore; e chi cerca di individuare una forma di globalizzazione adeguata alla propria realtà. In generale, però, l’aspetto tecnologico della globalizzazione è accettato e condiviso acriticamente da tutti i musulmani.
Come spiega Alberto Ventura alla voce “Islam oggi” del sito Treccani.it, Il vero protagonista delle trasformazioni repentine che il mondo ha subito negli ultimi decenni è il cosiddetto processo di globalizzazione. L’idea di un ‘villaggio globale’, che sino a qualche tempo fa poteva sembrare più una categoria concettuale che un fatto compiuto, ha dimostrato di potersi tramutare in realtà concreta attraverso quella serie di meccanismi che dominano oggi gli scambi planetari: comunicazione globale, mercato globale, consumi globali, persino terrorismo globale. Il problema di fondo insito in questo processo è che la globalizzazione non comporta una parità dei soggetti coinvolti in queste interazioni, ma al contrario prevede che l’elemento egemone detti le regole del gioco e faccia prevalere i propri interessi su quelli di tutti gli altri partecipanti. Si creano in tal modo squilibri e scompensi di vario genere, che possono avere differenti esiti, non tutti facilmente prevedibili o controllabili.
Le posizioni all’interno deli paesi islamici sono contrastanti, e vanno da accesi appelli alla resistenza contro il fenomeno globale a una sua accettazione come fatto compiuto, dal quale si debbono anzi trarre i possibili vantaggi. Nel campo degli oppositori si schierano, con diverse sfumature, tutti coloro che vedono nella globalizzazione una concreta minaccia all’identità culturale musulmana. Secondo questo punto di vista, il nuovo ordine mondiale tenderebbe a imporre una logica unitaria, che non tiene conto delle specificità culturali delle diverse società. Così, per es., l’affermazione universale dei diritti dell’uomo viene spesso criticata nel mondo islamico perché i valori che essa esprime sono quelli dell’Occidente egemone e contrastano, sotto più di un aspetto, con quelli proposti dalla religione islamica.
Il carattere materialistico della società globalizzata
Ma l’opposizione più vivace è quella che si manifesta contro il carattere materialistico della società globalizzata, che mercifica ogni cosa e diffonde modelli consumistici insostenibili e incompatibili con l’etica dell’islam. Ritorna qui all’opera quella raffigurazione radicale della diversità fra Occidente e resto del mondo, secondo la quale il primo rappresenta l’avidità, il cinismo e l’ingiustizia, mentre le culture subalterne difendono i principi dell’equità sociale, dei valori etici, della solidarietà. Di diverso avviso sono coloro che, come si è detto, pur non accettando tutte le implicazioni negative della società globalizzata, ritengono tuttavia che essa rappresenti un processo ormai irreversibile, con il quale bisogna necessariamente fare i conti. Gli esponenti di questo punto di vista sostengono in genere che i nuovi meccanismi economici e comunicativi, assieme ai traumi che necessariamente portano con sé, presentano anche delle straordinarie opportunità di cambiamento sociale e culturale. Una tesi che ricorre di frequente, a questo proposito, è quella che vede la globalizzazione come l’arma ideale per diffondere in Paesi resistenti al cambiamento delle vere e proprie rivoluzioni strutturali, favorendo l’emergere della mobilità sociale, la consapevolezza dei diritti, la diffusione di una cultura democratica. Attraverso i mezzi di comunicazione satellitare e lo strumento di Internet, le nuove generazioni musulmane hanno oggi a disposizione degli straordinari mezzi di crescita, che li possono formare in modo più libero rispetto ai rigidi schemi delle società nelle quali vivono, generalmente poco propense allo sviluppo degli individui.
Declino economico e liberalizzazione forzata
I problemi però sono tanti. Il declino economico, in parte provocato dall’abbassamento dei prezzi del petrolio e del gas e dai tagli agli aiuti esteri – in particolare per l’Egitto e la Giordania – ha costretto alcuni stati mediorientali a “liberalizzare” le rispettive economie e a ritirarsi da settori essenziali quali l’istruzione, la sanità e la previdenza sociale. Nella maggior parte dei paesi della regione, l’attuale quota marginale dell’economia nazionale in mano al settore privato non potrà però espandersi senza il consenso dello stato, dato l’indiscusso controllo che quest’ultimo esercita sul mercato. Le difficoltà di realizzazione di un sistema capitalistico sostenibile e produttivo nella regione sono in gran parte dovute alle inefficienze di stati monopolistici a caccia di rendite, esasperate dalle influenze e dal controllo straniero. Si tratta di un vero sistema di sfruttamento.
A.DeL.
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