Una setta influente nel mondo musulmano: il wahhabismo
Wahhabismo è il nome del movimento riformatore, sviluppatosi in seno alla comunità islamica, fondato da Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb al-Tamīmī al-Najdī (1703 – 1792) ( محمد بن عبد الوهاب التميمى), teologo arabo nato nella regione del Najd, nell’odierna Arabia Saudita, da cui prende il nome.
Nato nel 1703 o 1704 ad al-ʿUyayna, un villaggio del Najd centrale, Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb giunse ad al-Dirʿiyya (allora capitale dell’emirato saudita) nel 1744, dopo varie peregrinazioni destinate in seguito a mitizzarne la figura presso i suoi seguaci. Nipote di Sulaymān b. Muḥammad, Muftī del Najd, e figlio di ʿAbd al-Wahhāb, giudice di scuola hanbalita (corrente rigorista dell’interpretazione coranica che esercitava ad al-ʿUyayna) Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb studiò alla Mecca e Medina (dove aderì al Hanbalismo), e poi a Basra (Bassora), dove fu espulso per le sue idee radicali, per essere poi miracolosamente salvato da un mulattiere mentre era in procinto di soccombere nel deserto. Fu poi a Baghdad, in Kurdistan e in Persia – a Hamadān e Iṣfahān – prima di soggiornare a Ḥuraymilā.
Spostatosi qualche anno dopo ad al-Dirʿiyya, convertì alla sua visione dell’Islam due fratelli del locale signore, il futuro re ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saʿūd (m. 1801) e infine lo stesso Emiro. I due sottoscrissero nel 1744 un patto ideale per affermare la causa neo-hanbalita nei territori governati dall’Emiro.
Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb morì nel 1792 ad al-Dirʿiyya, dove insegnava giurisprudenza nella locale moschea.
Il ritorno ai puri antenati (al-salaf al-ṣāliḥīn)
Dedicò tutta la sua esistenza alla purificazione della religione islamica affinché ci fosse un ritorno al messaggio iniziale dell’Islam, così come istituito dagli al-salaf al-ṣāliḥīn (i puri antenati), ovvero i primissimi discepoli della religione islamica. Per questo motivo egli rigettò gli elementi a suo parere non-islamici, giudicati come perniciosamente innovativi ( bidʿa ) e politeistici ( shirk ), ossia “associatori (di divinità all’unico Dio)”.
Kitāb al-tawḥīd
Nella sua opera di riforma religiosa (fra cui spicca il Kitāb al-tawḥīd ,Il libro dell’Unicità divina), Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb denunciò diverse pratiche religiose delle varie confraternite mistiche sufi come eretiche e non ortodosse, così come la loro eccessiva venerazione ed idolatria delle figure dei santi-fondatori. Dal momento che tutti i musulmani devono pregare un unico Dio, essi non dovevano cercare l’intercessione di esseri umani, mortali e limitati, poiché la loro “santità” (il termine in arabo non esiste e si parla di “amicizia con Dio”) era effettiva solo durante la loro vita. Considerò inoltre eretico anche il Kharigismo e lo Sciismo, e innovazioni non ammissibili altre pratiche religiose non originarie e introdotte successivamente tra i musulmani, come quella di festeggiare la nascita del profeta Maometto.
Viene considerato da vari musulmani e studiosi come un importante riformatore ma viene criticato da molti altri. Notevolmente influenzato da Ibn Taymiyya, Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb è fortemente inviso ai sufi che lo considerano colpevole di travisamento dei valori profondi più autentici dell’Islam.
Di formazione giuridica e teologica hanbalita, particolarmente influenzato dalla dottrina espressa da Ibn Taymiyya (ma del tutto erroneo e fuorviante sarebbe prospettare un’equivalenza fra hanbalismo e wahhabismo), e da Ibn Qayyim al-Jawziyya (entrambi considerati massimi referenti, dopo Aḥmad b. Ḥanbal, dei numerosi movimenti neo-hanbaliti che coltivano una visione fondamentalistica dell’Islam), Muhammad ibn ʿAbd al-Wahhāb si recò da giovane dalla nativa regione del Najd (attuale Arabia Saudita) a Medina, Basra, Baghdad, in Iran, e al Cairo e, tornato infine nella penisola araba, si stabilì nell’oasi di al-ʿUyayna dove entrò in contatto amichevole con l’emiro Muhammad bin Saʿūd, fondatore della Casa di Al Saud e nel 1744 Ibn ʿAbd al-Wahhāb e Muhammad ibn Saʿūd si giurarono fedeltà reciproca, con l’intento di realizzare una comune azione per il rinnovamento dei costumi che entrambi giudicavano eccessivamente rilassati.
Quando nel 1924 ʿAbd al-ʿAzīz ibn Saʿūd prese il potere in Arabia, abbattendo il breve regno del Ḥijāz (1924-1925) – sorto col beneplacito dalla Gran Bretagna per rimeritare il suo antico alleato, lo sharīf di Mecca, al-Ḥusayn ibn ʿAlī ibn ʿAwn, nominale capo della Rivolta Araba anti-ottomana nel corso della I Guerra Mondiale – il nuovo Stato adottò il wahhabismo come dottrina ufficiale e traeva la sua legittimità dal possesso di due fra i tre grandi luoghi santi dell’Islam. Ma la sua influenza non sarebbe stata così importante se il suo territorio non avesse custodito, insieme alla Mecca e alla Medina, una straordinaria ricchezza petrolifera. È questa la ragione per cui il regno dei Saud, costituzionalmente legittimato dalla sua missione spirituale e prodigiosamente arricchito dal petrolio, deve giustificare ancora oggi in termini religiosi ogni sua importante iniziativa internazionale.
L’alleanza fra il leader religioso e il signore della città fu la pietra angolare di quello che sarebbe divenuto, molto tempo dopo, il regno saudita. Ma fu anche la ragione della diffidenza che la Wahhābiyya suscitò nell’Impero Ottomano. Infatti, il Sultano di Costantinopoli chiese a Mehmet Ali, governatore dell’Egitto, di eliminare i wahhabiti, allorché i Sa’ud si impadronirono delle città sante di Mecca e Medina, con una serie di pesanti azioni di guerriglia che – senza decisivi risultati – furono contrastate col massimo dell’impegno dai vari khedivè egiziani che avevano la “tutela” dei Luoghi Santi del Ḥijāz. La campagna militare ebbe successo, ma i sauditi, dopo la partenza degli egiziani, riuscirono a ricostituire uno Stato fortemente religioso.
Agli inizi la Wahhābiyya era soltanto uno dei tanti ritorni alla purezza e al rigore originale. L’insegnamento del suo iniziatore era fondato sull’unicità di Dio, sull’osservanza rigorosa del Corano e sulla severa condanna delle consuetudini religiose (la visita ai sepolcri dei personaggi famosi, per esempio) che si erano depositate come altrettante stratificazioni, nel corso del tempo, sulle pratiche devozionali dei musulmani.
Rigorosamente ostile a ogni interpretazione personale (raʾy) dei giurisperiti musulmani, il wahhabismo (come ogni movimento neo-hanbalita) guarda con sospetto anche le pratiche del sufismo ed è a favore di una lettura esoterica della sharīʿa, seguendo la dottrina del “bi-lā kayfa“.
In base a ciò la monarchia saudita si è sempre sentita legittimata a proporre un regime di tipo tradizionale quanto ad assetti politici interni e a costumi (rigida separazione dei sessi). Per questo essa non ha sentito alcun bisogno di adottare una Costituzione che ne potesse limitare e controllare i poteri assoluti né ha mai avviato un reale processo di codificazione giuridica. Gli stessi organismi politici rappresentativi non sono espressi da apposite elezioni cui concorra una qualche varietà di partiti ma dalla benevola scelta discrezionale operata nella società dalla famiglia saudita che, in politica estera, ha mantenuto peraltro un costante orientamento filo-occidentale.
Il richiamo ai valori islamici più restii ad accogliere il prodotto delle complesse e raffinate elaborazioni proposte nei secoli dal pensiero non-hanbalita e gli orientamenti politici filo-statunitensi affermatisi nel regno dopo la seconda guerra mondiale sono diventati, specie dopo la guerra dei sei giorni, oggetto di profonda riflessione, discussione e persino di contestazione più o meno violenta all’interno del regno.
Forte rimane l’influenza del Wahhabismo sui movimenti militanti contemporanei arabi e islamici che si propongono di disegnare nuovi equilibri geo-strategici planetari in funzione dell’eccellenza del modello islamico, ma problematico rimane un giudizio non di parte sulla sua positività o negatività, dal momento che il pensiero hanbalita sembra possedere in teoria gli strumenti metodologici meglio orientati per affrontare positivamente, con l’arma dialettica dell’ijtihād, lo spinoso e finora non ben risolto problema del rapporto fra modernità e Islam.
Categorie:E05- Islam politico - The political thought of Islam, G03- Storia contemporanea dei paesi arabi - Contemporary History of the Arabic Countries
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