Dalla letteratura ebraica alla letteratura israeliana
La letteratura israeliana affonda le sue radici nella rinascita della letteratura ebraica della quale costituisce l’erede e la continuatrice (come lo Stato d’Israele s’inserisce nella continuità dello Yishuv e del movimento sionista). Gli scrittori israeliani di questi ultimi sessant’anni sono, per riprendere un’immagine rabbinica, dei “nani appollaiati sulle spalle di giganti”. Fra questi giganti della letteratura ebraica pre-statale, ricordiamo i nomi di Haim Nahman Bialik, di Joseph Samuel Agnon o di Yossef Haim Brenner.
“È dunque a partire dalla particolare storia che questa lingua ha vissuto e continua a vivere – scrive Elena Loewenthal nella voce dedicata al tema in Enciclopedia Treccani- che si può iniziare un percorso all’interno della l. i. e delle molte voci che la compongono, ebraica ma anche araba o di radice più direttamente europea. E l’immagine che meglio illustra il tratto fondamentale dell’ebraico è la stessa usata dal fondatore del sionismo, Th. Herzl, nel titolo del suo romanzo-manifesto, pubblicato in tedesco nel 1902, Altneuland, ossia ‘la vecchia-nuova terra’: lo stesso si può dire di una lingua che, a partire dalla Bibbia, è caratterizzata da una sorprendente continuità storica, mai esaurita nei millenni di vita del popolo ebraico. La l. i. è a buon diritto l’erede diretta di questa lunga e ininterrotta tradizione di scrittura che attraverso l’antichità e il Medioevo giunge all’età moderna e contemporanea. È infatti a partire dalla Haskalah – il cosiddetto illuminismo ebraico, che segue di qualche decennio quello europeo – che l’ebraico esce dai canoni della letteratura tradizionale e dottrinaria per avviarsi verso le belle lettere: dalla poesia sacra a quella profana, alla narrativa vera e propria. Per fondare a sua volta un canone, la letteratura ebraica moderna non manca di validi riferimenti. Se suo primo modello, in quanto primaria voce del popolo ebraico, è la letteratura yiddish della Mitteleuropa, che a partire dall’Ottocento annovera autori come Mendele Mokher Seforim (pseud. di Shalom Jakob Abramovič, 1835-1917), I.L. Peretz (1852-1915) e Sh. Aleichem (pseud. di Shalom Rabinovič, 1859-1916), un ruolo non meno importante come punto di partenza spetta anche alla grande narrativa europea: molti dei maggiori autori della letteratura ebraica contemporanea non esitano a dichiarare d’essersi formati nel solco del romanzo russo e francese dell’Ottocento. Prodotto dell’incontro fra lingua ebraica e modernità, la l. i. è, fin dall’inizio, un ambito complesso e metodologicamente problematico, così come si riflette nelle sue voci multiformi: non c’è infatti autore contemporaneo che non si ponga in un rapporto dialettico, a volte conflittuale, con le proprie radici culturali e linguistiche. Basti pensare ad autori come A. Shammas (n. 1950) e S. Kashua (n. 1975), due scrittori arabi che hanno scelto, in tempi e con modalità stilistiche e narrative ben diverse fra loro, di usare l’ebraico come lingua d’espressione e prima ancora di appartenenza. Di questa vivace dialettica fra lingua, storia e geografia si ha testimonianza fin dagli esordi.”
Padre della letteratura ebraica contemporanea e israeliana è concordemente considerato il poeta H.N. Bialik (1873-1934), nato in Volinia ed emigrato in terra d’Israele – all’epoca Palestina ex ottomana, passata sotto il mandato britannico alla fine della Prima guerra mondiale – nel 1924. Formatosi negli studi tradizionali, Bialik fu il poeta che seppe trasportare l’ebraico dal mondo sacro a quello profano. O meglio, ai travagli della storia: la sua è anche una poesia di denuncia sdegnata della sottomissione alla violenza. Insieme a Bialik i padri della l. i. sono Y.H. Brenner (1891-1921) e Sh.Y. Agnon (v.). Brenner, originario dell’Ucraina e anch’egli emigrato in Palestina, è in un certo senso il trait d’union fra la letteratura ebraica della Diaspora e quella del nascente Stato d’Israele: egli celebra la rinascita nazionale e guarda con una memoria non priva di disprezzo al passato della Diaspora.
“Agnon invece- scrive ancora Loewenthal- amalgama le due esperienze del popolo ebraico dentro una narrazione mesta, arricchita tanto di sarcasmo quanto di nostalgia. Nel 1966 Agnon ricevette, insieme con la poetessa N. Sachs, il premio Nobel per la letteratura; la sua scrittura rappresenta il definitivo consolidamento dell’ebraico sul terreno della narrativa, e la sua capacità di imprimere alla parola una vasta gamma di sfumature semantiche e sentimentali costituisce un ineludibile modello di riferimento per tutta la l. i. successiva.”
La storia della letteratura israeliana è generalmente divisa in diversi periodi, più o meno ben delimitati. Si parla anche della “generazione dell’Indipendenza” (o “generazione del Palmach”) per indicare gli scrittori arrivati all’età adulta nel momento della creazione dello Stato.
Questi narratori hanno spesso preso parte ai combattimenti per l’Indipendenza, e le loro opere ne portano le tracce. Fra i più noti ricordiamo Moshè Shamir e Aharon Megged. In questi autori l’aspetto sociale è spesso predominante rispetto alla profondità psicologica. I loro eroi sono, a immagine dei pionieri dell’epoca, semplici, coraggiosi e pronti a sacrificare la loro vita per l’ideale sionista. Ma questa dimensione non è che un aspetto dell’opera di questi scrittori, i quali affrontano anche temi differenti, ad esempio come David Shahar – soprannominato il “Proust israeliano” – che descrive la Gerusalemme del periodo mandatario.
La generazione seguente, chiamata “generazione dello Stato”, è quella degli scrittori nati con lo Stato, o che erano ancora bambini o adolescenti nel 1948. Sono i nomi più conosciuti della letteratura israeliana: Amos Oz, A.B. Yehoshua, Aharon Appelfeld, Yoram Kaniuk… In linea generale gli scrittori di questa generazione sono molto meno segnati dall’”ethos” sionista rispetto a quelli della generazione precedente, e molti fra loro rigettano i valori collettivisti e sionisti per ricercare una nuova identità e nuove tematiche letterarie. Il personaggio del pioniere e del soldato, caro agli scrittori della generazione dell’Indipendenza, lascia il posto all’antieroe, intellettuale sradicato o marginale, che emerge in particolar modo nella narrativa di Yehoshua o Kaniuk. Questa generazione è ugualmente caratterizzata dalla Shoah (Appelfeld).
Impegno politico e rifiuto dei valori sionisti
Un aspetto importante dell’opera di questi autori, che appare nella narrativa dello scrittore “faro” della generazione dello Stato, Amos Oz, è quello della rivolta contro la generazione dei padri fondatori e della critica dei “valori sacri” del sionismo, come il kibbutz, l’esercito o la difesa del paese. Nel libro “Michel mio” , Amos Oz mostra anche il rovescio della società del kibbutz dove le passioni umane soffocate nell’ambito della vita collettivista esplodono perfino con violenza rompendo tutti i tabù. Come fa notare Gershon Shaked, Oz sembra affascinato dalla debolezza e dalla bruttezza.
L’impegno politico di diversi autori di questa generazione (della quale tre membri eminenti, Amos Oz, A.B. Yehoshua e David Grossman sono militanti del movimento pacifica “Peace now”) è inseparabile dalle loro opere letterarie, e ci si può perfino chiedere se il loro successo -specialmente in Europa – sia dovuto unicamente al loro talento letterario o piuttosto alle loro scelte politiche…
Una chiave d’interpretazione è fornita da Amos Oz nel suo libro autobiografico, “Una storia d’amore e di tenebra”. L’autore descrive la sua infanzia a Gerusalemme, in una famiglia dell’aristocrazia sionista revisionista, la famiglia Klausner. Dopo il suicidio della madre, si allontana da suo padre, rifiuta i valori sionisti nei quali è stato allevato e lascia Gerusalemme per andare a vivere ad Arad, una città nel Negev.
La generazione degli scrittori nati fra la Guerra d’Indipendenza e la guerra dei Sei Giorni è caratterizzata da diverse tendenze contraddittorie: individualismo, rifiuto sempre più marcato dei valori collettivi e dell’occidentalismo (tendenti perfino al nichilismo) da una parte (Edgar Keret, Orly Castel-Blòom); ma anche riscoperta delle radici diasporiche e esaltazione delle culture ebraiche orientali.
La dimensione politica sparisce per far posto ad una concezione più universale del ruolo dello scrittore, come è il caso di Zeruya Shalev, che ha dichiarato: “La mia scrittura si estende in un territorio indipendente dalla politica. Non voglio essere un “profeta” che predice l’avvenire. Il ruolo dello scrittore è quello di mostrare la complessità e l’ambivalenza della realtà, soprattutto riguardo a situazioni che sono così poco certe e indefinite come quelle della vita familiare.
La nuova generazione
La nuova generazione è ugualmente caratterizzata dalla presenza sempre più consolidata di donne nella letteratura israeliana, la cui voce un po’ marginale nell’ambito delle generazioni precedenti è diventata sempre più forte: ricordiamo oltre a Zeruya Shalev, Shifra Horn, Alona Kimhi e Dorit Rabinyan.
Un’altra tendenza rilevante è l’apparire di una scrittura specifica per i bambini da parte dei sopravvissuti alla Shoah, come Lizzie Doron o Amir Gutfreund, autore del libro intitolato “ La gente indispensabile non muore mai”.
Se gli autori della nuova generazione sembrano troppo lontani dall’ideale sionista rispetto agli scrittori della generazione dell’Indipendenza, continuano cionondimeno a descrivere nelle loro opere il destino degli ebrei in Israele nella sua specificità e complessità: è il caso di Ron Leshem, autore del libro “Beaufort” portato sullo schermo dal regista Joseph Cedar.
Occorre inoltre segnalare la comparsa di una letteratura israeliana di ispirazione ebraica originale rappresentata soprattutto dallo scrittore e rabbino Haim Sabato.
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