Urwa ibn al-Ward
ʿUrwa ibn al-Ward (Arabo ﻋﺮﻭة ﺑﻦ ﺍﻟﻮﺭﺩ; VI secolo – VI secolo) è stato un poeta arabo. preislamico, annoverato tra i ṣuʿlūk (poeti fuorilegge). Era originario di un clan dei B. ʿAbs.
Non è compreso tuttavia tra gli aghribat al-ʿArab – i “corvi degli Arabi”[1] – visto che esistono notizie che lo riguardano che parlano di un dignitoso ruolo di un qualche spicco goduto tra la sua gente.
Il suo Dīwān, edito da Theodor Nöldeke,[2] tocca i tradizionali topoi della vita nel deserto e delle razzie effettuate contro le rivali tribù arabe dei Banu al-Qayn e dei Banu Hudhayl, oltre all’esaltazione di uno dei valori più nobili della muruwwa preislamica: quello dell’accoglienza generosa nei confronti dell’ospite, che lo rese celebre, nel sentimento comune arabo, al pari di Ḥātim al-Ṭāʾī.
È tuttavia ricordato anche come un poeta che ha cantato l’amore.
Si raccontava infatti del suo amore tragico causato dal ripudio dato sotto l’effetto dell’alcol alla sua amata moglie Salmā (o Laylā) e del suo inutile pentimento per quel suo atto avventato, ricordato in una struggente poesia tradotta da Nöldeke,[3] tanto che il poeta d’età abbaside, Marwān b. Sulaymān (m. 797), lo annoverava tra i poeti “martiri” per amore.[4]
Note
- ^ Così definiti per il colorito scuro della epidermide e per il loro essere stati messi al bando dalla propria tribù.
- ^ Die Gedichte des Urwa ibn Alward, Göttingen, Dieterichsche Buchhandlung, 1863.
- ^ Op. cit., 7-9.
- ^ al-Mubarrad, Kitāb al-kāmil fī l-adab (Il libro della perfezione nella letteratura), edito da W. Wright in 12 fascicoli con indici, Lipsia 1864-1892, I, p. 416.
Bibliografia
- Lemma «ʿUrwa b. al-Ward» (A. Arazi), in: The Encyclopaedia of Islam. New edition
- Oriana Capezio, Una voce nel deserto, Milano, Ariele, 2011. 1
- Eadem, “Una tenda di parole. Osservazioni sulla terminologia della metrica araba”, su: Quaderni di Studi Arabi, Roma, Istituto per l’Oriente C. A. Nallino, n.s. 5-6, 2010-2011 (scaricabile da JSTOR
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