All’indomani della proclamazione della nascita di Israele (15 maggio 1948) gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano invasero il territorio del nuovo Stato ebraico.
In seguito alla tregua del luglio 1948, Israele estese i propri confini incorporando la Galilea orientale, il Negev e una striscia di territorio fino a Gerusalemme, di cui occupò la metà occidentale. Seguì, nel 1949, una serie di armistizi separati fra lo Stato ebraico e l’Egitto, che occupò la Striscia di Gaza; la Transgiordania (che da allora prese il nome di Giordania) che occupò la Cisgiordania; il Libano e la Siria. I tentativi dell’ONU di giungere a un trattato di pace fallirono e permasero i motivi di tensione tra i diversi Paesi, ai quali si aggiunse il problema dei profughi palestinesi dislocati dall’occupazione israeliana.
Gli scontri terminarono nei primi mesi del 1949, ed al cessate il fuoco seguirono accordi armistiziali separati.
La seconda guerra arabo-israeliana – 1956
Negli anni Cinquanta assume le caratteristiche di un nuovo protagonismo politico il “nazionalismo” arabo propugnato da Nasser. Nel 1956 il presidente egiziano bloccò gli stretti di Tiran e il golfo di ‛Aqaba, impedendo l’accesso al mare di Israele. L’esercito israeliano compì una fulminea avanzata nel Sinai sino al canale di Suez (29 ott.-5 nov.). Anche Francia e Gran Bretagna, i cui interessi erano stati colpiti dalla nazionalizzazione del canale attuata in quell’anno da Nasser, entrarono nel conflitto (30 ott.). Tale intervento fu condannato dall’URSS, dagli USA e dall’ONU che, quando cessarono le ostilità (9 nov.), inviò in Egitto una forza d’interposizione (i caschi blu, creati in quell’occasione) nel Sinai, forzando al ritiro le forze anglo-francesi e Israele. Lo status quo territoriale non conobbe modifiche ma fu ripristinata la libertà di navigazione israeliana.
Tale avvenimento non è strettamente collegato alla questione palestinese, ma ugualmente coinvolge Israele, che stava consolidando le conquiste successive alla guerra del ’48.
La nascita dei partiti politici palestinesi
Il sistema politico palestinese attuale si crea lungo due linee di frattura ben precise. La prima, che si delinea negli anni Cinquanta a partire dai postumi della naqba, è quella tra l’orientamento panarabo e l’orientamento che potremmo definire con la formula ‘la liberazione della Palestina è affare dei palestinesi’. La seconda linea di frattura, che viene alla ribalta soprattutto negli anni Ottanta con la politicizzazione dell’islam palestinese, è quella tra i partiti e i movimenti di origine nazionalista, da un lato, e i movimenti islamisti dall’altro. Un fatto a sé, invece, è la complicata storia dei vari partiti comunisti giordani e palestinesi.
Al-Fatah
Fondato nel 1959 da Yāser ʿArafāt (della nota famiglia palestinese degli al-Ḥusaynī), che assunse il nome di battaglia di Abū ʿAmmār, al-Fatḥ, rappresentando per decenni – come vero e proprio partito combattente – la spina dorsale della lotta armata palestinese allo Stato d’Israele, Al-Fatah o, più comunemente, Fatah (ma, correttamente, al-Fatḥ (in arabo: ألفتح), dal momento che al-Fatà, scritto in in arabo: الفتى significa “il/la giovane”), è l’organizzazione che ha incarnato nel bene e nel male le speranze di riscatto del popolo palestinese. Gli storici stanno operando una profonda revisione della figura storica di ʿArafāt, ora che è lontano dai clamori della cronaca e dei mass media, concentrandosi sul suo ruolo storico piuttosto che sui tratti pittoreschi della sua figura.
Il nome del movimento di ʿArafāt deriva da FTḤ, acronimo inverso dell’espressione araba Ḥarakat al-Taḥrīr al-Filasṭīnī (Movimento di Liberazione Palestinese, quindi parole molto simili a quelle che compongono l’acronimo OLP).
L’acronimo “ḤATF” avrebbe avuto lo stesso suono di un sostantivo che significa “morte”, e perciò ʿArafāt preferì invertire l’acronimo che, come “F[A]TḤ, può anche significare “conquista” o “vittoria in battaglia”.
Sull’emblema compare anche la parola araba al-ʿāṣifa (tempesta): nome della prima struttura armata di Fatḥ mentre sotto il simbolo è scritto in lingua araba al-thawra ḥattā al-nāṣir (rivoluzione fino alla vittoria).
Al-Fatḥ, pur non avendo mai raccolto l’unanimità dei consensi palestinesi, è stata fino al 2006 la maggior organizzazione palestinese, fin quando, a partire dalla fine degli anni novanta, la sua popolarità è stata insidiata in termini numerici e di consenso da Ḥamās, di cui parleremo più avanti.
Organizzazione per la liberazione della Palestina – Olp
L’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp, in arabo Munazzamat li-Tahrir Filastin) fu creata nel 1964 per iniziativa degli stati arabi con lo scopo reale di controllare le organizzazioni palestinesi. Ciò nonostante, dopo la disfatta del 1967 furono proprio le organizzazioni palestinesi, e soprattutto Fatah e il suo dirigente Yasser ‘Arafāt, a prendere controllo dell’Olp nel 1968.
Il Partito comunista palestinese nacque nel 1982 ad opera del Partito comunista giordano mentre nella Striscia di Gaza venne invece creata un’organizzazione comunista palestinese autonoma. Nel 1991 il Partito comunista divenne infine il Partito del popolo palestinese (Ppp, Hizb al-Sha’b al-Filastini), semplicemente con un cambiamento di nome.
Movimenti islamici
Mentre la branca palestinese delle Fratellanza musulmana, creata nel 1935, rimase a lungo attiva soltanto nel campo sociale e religioso, il primo partito palestinese a ispirazione islamica fu Hizb ut-Tahrir, fondato a Gerusalemme nel 1952 da Taqi al-Din al-Nabhani. Questo partito ha però avuto sempre una caratterizzazione panislamica e non è da considerare un attore importante nel quadro palestinese.
Il primo gruppo islamico palestinese rilevante è stato il Movimento per il jihad islamico in Palestina (Harakat al-Jihad al-Islami fi Filastin), fondato nel 1980 da Fathi al-Shiqaqi.
La terza guerra arabo-israeliana, detta «dei Sei giorni» – 1967
Una sconfitta del mondo arabo paragonabile per molti versi a quella del ’48 ma più generale e rovinosa si registrò nel maggio 1967 quando Nasser chiese il ritiro dei caschi blu disposti lungo la frontiera del Sinai e bloccò il traffico navale nel golfo di ‛Aqaba. Il 5 giugno Israele dette inizio alle ostilità con una serie di raid aerei che distrussero l’aviazione di Egitto, Siria, Giordania e Iraq. Nei giorni che seguirono, fino al 10, le forze israeliane occuparono Gaza e il Sinai a danno dell’Egitto, la Cisgiordania e la parte araba di Gerusalemme a danno della Giordania, gli altipiani del Golan a danno della Siria.
Il Movimento dei nazionalisti arabi
Dal Movimento dei nazionalisti arabi si formò nel 1967 il Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp, al-Jabha al-Sha’biyya li-Tahrir Filastin), da cui poi nacque nel 1969 il Fronte democratico (Fdlp, Al-Jabha al-Sha’biyya al-Dimuqratiya li-Tahrir Filastin).
Ambedue si caratterizzano per una posizione di tipo marxista, ma il secondo era, almeno inizialmente, più legato all’Unione Sovietica.
Settembre nero in Giordania – 1970
A seguito dello shock dovuto alla schiacciante vittoria israeliana nella Guerra dei sei giorni, diversi gruppi arabi erano alla ricerca di modi per “ripristinare l’onore” o portare avanti la propria causa. I rifugiati palestinesi costituivano una sostanziale minoranza della popolazione giordana ed erano appoggiati da molti regimi arabi, soprattutto dal presidente egiziano Nasser. Israele venne colpito ripetutamente da incursioni attraverso il confine compiute dai guerriglieri fedayn.
L’OLP aveva deciso di forzare la mano soprattutto dopo la battaglia di Karāmeh. Qui emergono gravi responsabilità di Yasser ‘Arafāt che portò la tensione politica e militare con la Giordania fino a un punto di non ritorno. Nel settembre del 1970 (Settembre nero) il Re hashemita Husayn di Giordania si mosse per reprimere un tentativo delle organizzazioni palestinesi di rovesciare la sua monarchia. L’attacco provocò pesanti perdite fra i civili palestinesi. Il conflitto armato durò fino al luglio del 1971.
La quarta guerra arabo-israeliana, detta «del Kippur» – 1973
Il 6 ottobre 1973, giorno della festa ebraica del Kippur, l’offensiva a sorpresa delle truppe egiziane e siriane aprì la quarta guerra tra Israele e mondo arabo. Il successo iniziale delle forze arabe fu seguito da una controffensiva dell’esercito israeliano, che giunse a poche decine di km dal Cairo. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ottenne la cessazione dei combattimenti, sancita nel 1974-75 dagli accordi fra Israele, Egitto e Siria, che consentirono, fra l’altro, la riapertura del canale di Suez (giugno 1975), rimasto chiuso dopo la guerra del 1967.
L’attacco israeliano in Libano – Operazione “Pace in Galilea” – 1982
Le contraddizioni del processo di pace che pure era stato avviato si evidenziarono in occasione dell’attacco israeliano in Libano (operazione ”Pace in Galilea”) del 6 giugno 1982, che determinò il congelamento delle relazioni con l’Egitto da poco ripristinate.
L’attacco puntava a ottenere un ampliamento dell’area egemonica israeliana in una direzione verso cui da sempre sussistevano storiche aspirazioni. In tal senso andavano gli episodi di violenza e sconfinamento reiterati per anni lungo la frontiera libanese; così pure la creazione da parte di Israele di un corpo di miliziani mercenari per il Libano meridionale capeggiati da S. Ḥaddād e poi da A. Laḥad, sino al piano per la distruzione della rete di autogestione civile e militare costituito da tempo in territorio libanese dall’OLP e al meticoloso accordo stipulato con la fazione falangista per l’instaurazione di un governo favorevole all’alleanza con Israele.
La strage nei campi profughi palestinesi di Ṣabrā e Šātīlā
Sul piano politico, Israele riuscì a imporre il 23 agosto 1982, in Beirut assediata, l’elezione a presidente della Repubblica dell’amico Bašīr Ǧumayyil (Gemayel), capo del partito della Falange: tuttavia la sua uccisione in un attentato, la successiva strage di ritorsione nei campi profughi palestinesi di Ṣabrā e Šātīlā sotto gli occhi dei soldati israeliani, e l’elezione del più cauto fratello Amīn Ǧumayyil furono altrettanti elementi che imposero il protarsi e il complicarsi dell’occupazione israeliana rendendola al tempo stesso più costosa per gli occupanti e meno sopportabile per le masse dei territori occupati. Anche per questo Tel-Aviv accettò l’arrivo a Beirut della Forza multinazionale composta da contingenti di Stati Uniti, Francia, Italia e Gran Bretagna che permise l’evacuazione dei combattenti palestinesi e, anche se non evitò la strage nei due campi profughi, determinò un relativo sganciamento dell’esercito israeliano dal movimento di resistenza nazionale libanese in piena ascesa.
La spedizione israeliana, che avrebbe dovuto durare tre settimane, si concludeva solo a me tà del 1985.
Categorie:G03- Storia contemporanea dei paesi arabi - Contemporary History of the Arabic Countries
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