Antonio De Lisa- Il Califfato fra mito politico e storia
Il Califfato rientra nella teoria islamica sunnita del governo. Sebbene abbia sempre avuto una coloritura religiosa, esso era destinato in origine a dare un governo unitario alla ummah muslima, alla comunità dei credenti. In questa prospettiva il Califfo non era facitore di leggi, ma controllore dell’attuazione di leggi, imperiture, che promanano direttamente dal libro sacro del Corano attraverso la codificazione dei giurisperiti (ulamā), dato che non c’è legge più giusta che quella dettata da Dio. La sua funzione piuttosto era quella di un amministratore della comunità, anche se in senso generalissimo; con l’espansione dell’Islàm il Califfo, infatti, si trovava a gestire un territorio enorme e quindi le sue funzioni si caricavano di una valenza politica e storica che trascendevano i confini dell’Islàm. Come è stato ripetutamente affermato dagli studiosi, per capire la natura del Califfato islamico dovremmo accostarlo alla figura occidentale non del papa, ma dell’Imperatore medievale.
Perché se ne parla di nuovo
Lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) ha proclamato il 29 giugno l’instaurazione del califfato islamico nei territori conquistati in Siria e in Iraq e con un comunicato diffuso su internet ha invitato tutti i fedeli musulmani ad allearsi in questa battaglia. L’Isil ha annunciato di aver cambiato nome in Stato islamico e di aver eretto il suo leader, Abū Bakr al-Baghdādī, al rango di califfo.
Il portavoce dell’Isil ha detto che il califfato “è il sogno di ogni musulmano e il desiderio di ogni jihadista”, avvisando ogni fedele islamico, con una velata minaccia, che “con l’annuncio del califfato è ormai loro dovere giurare fedeltà al califfo”. E ha aggiunto rivolgendosi ad altri movimenti combattenti: “Non esiste alcuna scusa religiosa per non sostenere questo stato. Sappiate che con la nascita del califfato i vostri gruppi hanno perso legittimità. Nessuno è autorizzato a non prestare giuramento al califfato”.
L’Isil ha anche prodotto un video che spiega il nuovo califfato intitolato “La fine di Sykes Picot”, un riferimento ai patti segreti francobritannici del 1916, firmati rispettivamente da François Georges-Picot e sir Mark Sykes, con cui Londra e Parigi si spartirono le zone di influenza dopo la prima guerra mondiale.
“Questa non è la prima frontiera che distruggiamo e ne distruggeremo delle altre”, dice un portavoce citando Iraq, Giordania e Libano.
Le reazioni
La stampa, sia occidentale che mediorientale, è stata colta di sorpresa da questa notizia, che si inquadra nel contesto di una sanguinosa guerra civile, quella siriana, con estese e progressive propaggini in Iraq. Da alcuni è stata letta come l’ultima provocazione del jihadismo militante, ma risulta più interessante cogliere le reazioni dei maggiori leaders religiosi musulmani, i quali hanno accusato per lo più questa proclamazione di essere un atto eretico. Dal punto di vista di questi ultimi mancherebbero del tutto le condizioni, che avremo modo di spiegare in dettaglio nel corso di questo articolo. Inoltre, i leaders religiosi hanno più volte sottolineato che l’esercito dell’Isil, ora Stato Islamico, è composto per una gran parte da “stranieri”, ma non ci soffermeremo sulle implicazioni di quest’ultima affermazione.
La storia
La storia del Califfato non è esente da controvrsie dottrinali e soprattutto politiche. Solo i primi quattro “successori dell’Inviato di Dio” (questa la più appropriata definizione di Califfo) sono chiamati “ortodossi” dall’Islam ( rāshidūn), conosciuti come i Califfi “ben guidati”. Essi regnarono da Medina e furono:
- Abū Bakr, detto al-Ṣiddīq, “Il grandemente veritiero” (632 – 634)
- ʿUmar ibn al-Khattāb, detto al-Fārūq “Colui che sa distinguere” (634 – 644)
- ʿUthmān ibn ʿAffān, detto Dhū l-Nurayn “Quello delle due luci” (644 – 656)
- ʿAlī ibn Abī Ṭālib, detto al-Murtaḍā “Colui che è approvato” (656 – 661)
Già con gli Omayyadi sorsero infinite dispute e lotte di potere, che si sono susseguite per tutta la storia del mondo islamico.
L’ultimo califfo ottomano fu dichiarato decaduto da un’apposita Assemblea tenutasi ad Ankara il 3 marzo 1924 su disposizione di Mustafa Kemal Atatürk.
E’ una storia che è durata circa tredici secoli, che ha visto l’enorme e fulminea espanzione dell’Islam fuori dai confini dell’Arabia, fino al lento declino e infine alla dissoluzione dell’Impero Ottomano. Una storia ricca di contrasti, ma anche di portata mondiale, che solo nell’ultimo secolo è stata esplorata scevra da pregiudizi eurocentrici.
I requisiti necessari per la proclamazione del Califfo
Seguendo la definizione che ne diede Carlo Alfonso Nallino in una voce dell’Enciclopedia Treccani (1930) si può affermare che secondo la dottrina sunnita le condizioni indispensabili per essere califfo sono:
– il sesso maschile,
– la maggiore età,
– l’essere di religione musulmana sunnita e di condizione libera,
– la sanità di mente,
– l’integrità del corpo,
– la discendenza dai Quraish o Coreisciti, cioè da coloro che formavano la maggioranza della popolazione della Mecca al tempo di Maometto e ai quali Maometto stesso apparteneva.
In teoria il califfo è elettivo e i suoi elettori sono le persone aventi autorità ufficiale o morale e residenti non troppo lontano dalla capitale; è ammesso che il califfo in carica designi il successore, previo gradimento di coloro che sarebbero gli elettori. Il principio elettivo fu sempre salvo anche quando, in pratica, il potere califfale si trasmise nel seno della dinastia omayyade o della dinastia ‛abbāside per parecchie generazioni; infatti non esistette mai un determinato ordine di successione o un qualsiasi diritto successorio di membri della dinastia. In ciò abbiamo la diretta continuazione delle norme che valevano in Arabia ancor prima dell’islamismo per la scelta del capo della tribù.
In virtù di queste considerazioni una parte del mondo islamico sunnita ha pensato di poter riconoscere erede del Califfato islamico la Casa Reale egiziana, discendente di Mehmet Ali (almeno finché essa ebbe voce in capitolo in Arabia), mentre un’altra parte (basandosi sul fatto che la Famiglia Reale saudita rivendica il titolo onorifico di Custode delle due Città Sante di Mecca e Medina) giudica che un’eventuale rivendicazione saudita sarebbe perfettamente legittima. Esiste infine una corrente di pensiero che ritiene la famiglia hascemita di Giordania e quella reale del Marocco siano in grado di rivendicare validamente la suprema dignità califfale, essendo i monarchi giordani discendenti del Profeta attraverso suo nipote al-Husayn, mentre i sovrani marocchini lo sono attraverso l’altro nipote al-Hasan.
Quasi nessuno riconosce invece ormai plausibile l’ipotetico Califfato dei successori di Abdul Mejid II, di cui l’attuale pretendente è Osman Bayezid.
Va sottolineato che i fautori del ripristino del Califfato costituiscono un’esigua minoranza nel mondo islamico e gli stessi slogan lanciati in questo senso da alcune organizzazioni fondamentaliste non hanno suscitato il minimo interesse e alcuna discussione.
La consultazione: Shūrā – شورى
Shūrā ( شورى) è il nome che in arabo si dà alla “consultazione” che portò all’identificazione di ‘Uthmān b. ‘Affān a terzo califfo dell’Islam.
L’organismo fu voluto, sul letto di morte, dal secondo califfo ‘Umar b. al-Khattāb e di esso facevano parte, oltre ad ‘Uthmān b. ‘Affān, ‘Alī b. Abī Tālib, Talha b. ‘Ubayd Allāh, al-Zubayr b. al-‘Awwām, Sa‘d b. Abī Waqqās e ‘Abd al-Rahmān b. ‘Awf.
In epoche recenti il termine ha conosciuto nuova fortuna ma anche notevoli fraintendimenti, dal momento in cui alcuni musulmani hanno cercato di rintracciare in questo istituto le fondamenta di una “democraticità” dell’Islam delle origini, suggerendo che esso potesse essere recuperato per cercare di avviare un processo “islamico” di democratizzazione delle società musulmane.
La cerimonia della bai‛ah
All’uso arabo preislamico si collega la solenne cerimonia della bai‛ah, cioè del riconoscimento pubblico del nuovo califfo da parte dei personaggi più ragguardevoli mediante la palmata o stretta di mano.
Per i giuristi l’elezione stabilisce un patto bilaterale; sicché se venisse a mancare uno dei requisiti fondamentali per la dignità califfale (p. es. sorgesse miscredenza, alienazione mentale, cecità, prigionia in mano degl’infedeli), il patto verrebbe sciolto e si dovrebbe procedere a nuova elezione; invece la condotta licenziosa o tirannica non furono di solito considerate nella pratica come causa di decadenza.
I poteri del Califfo
I poteri del califfo – sempre secondo Nallino- sono quelli d’un monarca assoluto, salvo per ciò che riguarda la legislazione. Infatti, concepito dai musulmani il diritto come espressione della volontà divina, conoscibile attraverso i testi sacri e la loro interpretazione affidata ai dottori in scienze religiose (gli ‛ulamā‘), ne consegue che, fuori del campo della semplice amministrazione, il sovrano non può legiferare se non in materie molto ristrette, non contemplate dal diritto determinato dagli ‛ulamā‘; persino in fatto di tributi i suoi poteri sono circoscritti assai, almeno teoricamente. Il califfo, come qualsiasi sovrano islamico, è un defensor fidei, non in quanto egli abbia autorità religiosa, ma in quanto ha il dovere di difendere la religione e l’ortodossia secondo l’opinione concorde o prevalente degli ‛ulamā‘.
Una prospettiva di storia contemporanea del mondo islamico
Considerato in una prospettiva storica attuale, quello delle moderne rivendicazioni del Califfato potrebbe con qualche utilità ermeneutica essere inquadrato nel concetto di “religione politica”, nel senso usato dallo storico Emilio Gentile nei suoi lavori sulle ideologie del Novecento. Detto in altre parole, appare come un potente mito politico nato dalle ceneri della sconfitta e del declino del “nazionalismo” arabo di matrice nasseriana ed è interamente circoscrivibile nella cosiddetta “reislamizzazione” del mondo arabo-islamico. Non si spiega altrimenti che come una radicalizzazione di posizioni avanzate con forza negli ultimi trent’anni da organizzazioni politico-religiose come quella dei Fratelli musulmani e ancor più del salafismo.
Antonio De Lisa
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