Storia dell’Egitto moderno e contemporaneo
La spedizione napoleonica del 1798
Nei sec. XVI-XVIII l’autorità ottomana sull’Egitto era esercitata da governatori inviati da Costantinopoli: autorità contemperata di fatto da quella dell’aristocrazia feudale militare da cui erano stati espressi i precedenti sovrani mamelucchi.
Nel 1798, Napoleone invase la provincia ottomana dell’Egitto e distrusse l’esercito dei neo-Mamelucchi (vassalli d’Istanbul, ma con ampi margini di autonomia) nella battaglia delle Piramidi, Napoleone subito dopo si ritirò dal paese per inseguire altre avventure militari, lasciando dietro di sé una parte delle sue forze d’occupazione, che si sarebbero ritirate dall’Egitto solo diversi anni più tardi.
Il tentativo di riconquista ottomana
Il Sultano ottomano mandò allora una spedizione militare per ricondurre all’obbedienza l’Egitto, ma le divisioni etniche e politiche nei vari ceti impedirono agli Ottomani di operare efficacemente per lungo tempo. Quando i salari delle truppe erano versati in ritardo, parte delle forze militari in Egitto si ammutinava e altre si davano al brigantaggio, senza che i neo-Mamelucchi fossero in grado di riportare sotto controllo la situazione.
La sconfitta dei neo-mamelucchi
Muhammad ʿAli, giovane ufficiale arrivato in Egitto col contingente albanese che faceva parte delle forze di spedizione ottomane, intervenne per colmare questo vuoto di potere, creandosi una base di potere con i capi dei villaggi, con l’elemento religioso musulmano e con i ricchi mercanti del Cairo, eliminando o espellendo i tre governatori consecutivamente inviati da Istanbul. Senza che vi fosse nessun altro in grado di assumere le funzioni di governo, il Sultano dovette fare buon viso a cattivo gioco e fu costretto a nominare Muhammad ʿAli suo wālī, ossia governatore (in arabo: والي, turco vali) in Egitto nel 1805.
La fondazione dell’Egitto moderno
Muhammad ʿAli Pascià / Mehmet Ali , in arabo: محمد علي باشا (Kavala, 4 marzo 1769 – Alessandria d’Egitto, 2 agosto 1849) è storicamente ritenuto il padre fondatore dell’Egitto moderno, avendo contribuito ad abbattere il regime neo-mamelucco, che agiva arbitrariamente, pur in stato di vassallaggio nei confronti dell’Impero ottomano. Fu il primo viceré (khedivè) de facto dell’Egitto (anche se questo titolo sarà riconosciuto dal sultano ottomano al nipote Ismāʿīl Pascià solo nel 1867) e governò l’Egitto dal 1805 al 1848.
Muḥammad ʽAlī pose mano all’ambiziosa opera di rinnovamento sociale e di riforme, proseguita dal figlio Saʽid Pasciá e dal successore di questo, Ismāʽīl Pasciá, che estese l’autorità del governo sul Sudan fino ai Grandi Laghi.
L’occupazione inglese
L’intenso ritmo dei lavori pubblici (tra cui il taglio dell’istmo di Suez) portò però alla rovina la già compromessa situazione finanziaria, offrendo all’Europa l’occasione per intervenire. Motivo ultimo fu la “rivolta dei colonnelli” (1881), condotta da ʽArābī Pasciá: gli inglesi occuparono il territorio e lo tennero fino al 1914 senza una ben definita fisionomia giuridica.
La monarchia
Dopo la prima guerra mondiale le correnti nazionaliste – decise fautrici dell’indipendenza – portarono la Gran Bretagna a riconoscere la sovranità dell’Egitto nel 1922; fu proclamato re Fu’ād I e le relazioni con la Gran Bretagna furono regolate da un trattato d’alleanza militare; fu ridotta l’occupazione inglese, e per il Sudan fu stabilita un’amministrazione condominiale.
L’Egitto di re Fārūq
Fārūq ibn Fuʾād, in arabo: فاروق الأول, Fārūq I, talora traslitterato Farouk I e conosciuto più diffusamente come Faruq I d’Egitto (Il Cairo, 11 febbraio 1920 – Roma, 18 marzo 1965), è stato il decimo sovrano della dinastia di Mehmet Ali, e secondo e penultimo Re dell’Egitto, succeduto al padre, Re Fuʾād I, nel 1936.
L’Egitto durante la seconda guerra mondiale
Durante la Seconda guerra mondiale, re Fārūq operò per tenere il Paese il più possibile lontano dai disagi del conflitto. Diede un importante contributo alla fondazione della Lega Araba.
La lunga occupazione britannica dell’Egitto aveva reso il popolo e la stessa dinastia discretamente simpatizzanti nei confronti della Germania nazista e dell’Italia fascista, nella speranza che i maggiori avversari del Regno Unito fossero coerentemente favorevoli a un Egitto pienamente indipendente e padrone dei suoi destini. Nonostante la presenza di ingenti truppe britanniche in patria, l’Egitto rimase ufficialmente neutrale sino all’ultimo anno di guerra. L’unico atto compiuto dal Re prima del 1945 contro l’Asse (Germania-Italia-Giappone) fu di internare nei campi di lavoro tutti gli italiani sospettati di essere dalla parte di Mussolini, quando l’Italia tentò di invadere il Sudan anglo-egiziano, utilizzando come base la sua colonia in Etiopia. Solo nel 1945 Faruq, sottoposto a forti pressioni dal governo di Sua Maestà Britannica, dichiarò guerra alle due dittature europee.
Il movimento nazionalista dopo la seconda guerra mondiale
Al termine della seconda guerra mondiale, il movimento nazionalista cominciò a sollevare il problema della completa indipendenza dalla Gran Bretagna.
Allo scadere del trattato (1947) il sempre più acceso contrasto tra il governo e i vari partiti (acuitosi specialmente dopo l’infelice partecipazione nel 1948 alla guerra araba contro Israele, che portò al “disastro”, Nakba) sfociò nel colpo di stato organizzato dal generale Muḥammad Naǧīb (1952) che costrinse re Fārūq, salito al trono nel 1936, ad abdicare. La Repubblica venne ufficialmente proclamata il 23 luglio del 1953 e quell’atto segnava la fine di una monarchia che aveva regnato per 150 anni, fin dall’epoca del khedivè Mehmet Ali.
Al-Nakba (in arabo: النكبة, an-Nakbah, letteralmente “disastro”, “catastrofe”, o “cataclisma”) è il nome che viene assegnato nel mondo arabo, e in Palestina in particolare, all’esodo delle popolazioni arabe, iniziato a partire dalla Dichiarazione Balfour (1917) e intensificatosi a partire dal 15 maggio 1948, che colpì i residenti della regione palestinese quando il Regno Unito, ritiratosi dalla medesima, attribuì ad Israele, secondo il Piano di partizione della Palestina contenuto nella risoluzione 181 sanzionato dall’ONU il 29 novembre 1947, la sovranità su quei luoghi.
Autoproclamatosi presidente della Repubblica e primo ministro (23 luglio 1953), Naǧīb venne progressivamente esautorato da Ǧamāl ʽAbd al-Nāṣir (Nasser) che, postosi in luce in seguito all’accordo per lo sgombero delle truppe inglesi dal canale di Suez (ottobre 1954) e, assunte di fatto in quello stesso anno le funzioni di capo di Stato, venne ufficialmente proclamato presidente nel 1956.
Il nuovo governo avviò un piano di ampie riforme sociali in particolare in campo agrario a cui risulta collegato anche il progetto della monumentale diga di Assuan la cui costruzione si realizzerà successivamente tra il 1959 e il 1965.
Gamāl ʿAbd al-Nasser
Nel 1954 Naǧīb fu però costretto a lasciare spazio all'”uomo forte” del regime, Gamāl ʿAbd al-Nasser.Figlio di un impiegato, sin da giovane fu sensibile ai richiami del nazionalismo e partecipò a varie manifestazioni contro la presenza britannica in Egitto. Intrapresa nel 1937 la carriera militare, nel 1942 fondò l’organizzazione segreta dei Liberi ufficiali, con il fine di emancipare il paese dal controllo inglese, dall’arretratezza e dalla corruzione. Nel 1948 partecipò alla guerra contro Israele e la sconfitta allora patita dall’Egitto lo convinse delle gravi responsabilità che nel ritardo egiziano avevano la corte e il mondo politico che le ruotava attorno. Maturò così l’idea di promuovere attraverso l’intervento dell’esercito un mutamento di regime. Fu quindi il principale artefice del colpo di stato del 23 luglio 1952 che portò al potere i Liberi ufficiali.
Il conflitto con i Fratelli Musulmani
L’accordo firmato il 19 ottobre del 1954 con il Regno Unito sullo sgombero entro 20 mesi delle sue forze militari, pur protraendo la presenza di tecnici nella zona del Canale di Suez, fu contestato dall’organizzazione islamica dei Fratelli Musulmani. Ad essa il governo rispose energicamente, cercando d’indurre l’organizzazione a destituire il proprio capo, al-Hasan al-Ḥudaybī.
Gamāl ʿAbd al-Nāṣer fu fatto oggetto il 26 ottobre di un attentato di cui furono incolpati i Fratelli Musulmani e la conseguenza fu lo scioglimento due giorni dopo dell’organizzazione e l’arresto il 30 ottobre di al-Ḥudaybī e dei maggiori dirigenti della Fratellanza, oltre alla destituzione dalla sua carica di Naǧīb il 14 novembre, posto fino al 1972 agli arresti domiciliari.
Sul piano della politica estera Nasser mirò a riacquistare la piena sovranità sul canale di Suez, aprendo una crisi internazionale con l’Inghilterra (ottobre 1954). Dopo l’adozione il 16 gennaio 1956, di una Costituzione repubblicana di ispirazione socialista con partito unico, Gamāl ʿAbd al-Nāṣir il 23 giugno fu eletto Presidente della Repubblica.
La crisi di Suez
Nasser intraprese una politica estera tesa a creare forti legami con gli stati arabi e aderì allo schieramento delle nazioni non-allineate. Sempre nel 1956 il rifiuto opposto dalla Banca Mondiale a intervenire economicamente per la costruzione della diga di Assuan (1956) portò Nasser a nazionalizzare la “Compagnia del canale di Suez”, provocando l’intervento di Gran Bretagna e Francia. Questa crisi fu utilizzata a pretesto da Israele che, in accordo con le due nazioni europee, nel 1956 invase l’Egitto, spingendosi sino alla regione del canale. Il conflitto aperto cessò solo con l’intervento dell’ONU, che sotto la pressione di USA e URSS inviò alcuni contingenti militari nella zona di confine tra Egitto e Israele.
In politica interna, Nasser represse l’opposizione politica e introdusse un sistema a partito unico, l’Unione araba socialista e nel 1967 ottenne il ritiro delle forze dell’ONU e impose la chiusura dello stretto di Tiran, bloccando qualsiasi accesso ad Israele sul Mar Rosso.
La Guerra dei sei giorni
Queste misure furono tra le cause del riaccendersi dei Conflitti arabo-israeliani, con lo scoppio della Guerra dei sei giorni, che si concluse con l’occupazione da parte israeliana della penisola del Sinai e della Striscia di Gaza e che determinò un indebolimento della politica di Nasser.
La guerra dei sei giorni costò all’Egitto la perdita del Sinai e il blocco del Canale di Suez, oltre a dolorose perdite in uomini e mezzi; Nasser propose le sue dimissioni, ma esse furono respinte dal popolo.
Ottenute nuove armi dall’Unione Sovietica, iniziò lungo il Canale una guerra di logoramento, ma ormai era stanco e malato. Non cessò per questo la sua attività nello sforzo di assicurare almeno un minimo di cooperazione araba, ma senza troppa convinzione: nel luglio 1970 sorprese tutti con l’improvvisa accettazione della proposta avanzata dal segretario di Stato statunitense W. Rogers per una tregua che consentisse l’avvio di trattative. Poco dopo, mentre era impegnato in un tentativo di mediazione fra le organizzazioni della resistenza palestinese e la Giordania, improvvisamente morì. La notizia della sua morte fu accolta con estremo cordoglio in tutto il mondo arabo, dove la sua figura aveva raggiunto un valore emblematico; tuttavia, con il passare del tempo la sua azione fu sottoposta, nello stesso Egitto, a un’opera di revisione e ridimensionamento.
L’effetto forse più rilevante è una sorta di spostamento in avanti del punto nodale, in termini storici, del conflitto. Prima il punto nodale era il 1948, con la proclamazione dello Stato di Israele e la Nakba, la catastrofe palestinese con il conseguente problema dei profughi. Fino ad allora era la legittimità di Israele tout court in discussione. Dal ’67 in poi il punto nodale del conflitto diventa l’occupazione. L’occupazione e la restituzione dei territori occupati è ormai la chiave per la soluzione del conflitto. Sarà prima l’Egitto a stabilire relazioni diplomatiche in cambio della restituzione del Sinai, seguirà poi la Giordania, con la rinuncia alla sovranità sulla Cisgiordania occupata. Se la Siria non riconosce ancora Israele, non è perché non ne riconosca la legittimità in sé, ma semplicemente perché Israele non è stato finora disposto ad una restituzione integrale dei territori conquistati nel 1967. Nei fatti (anche se non nella retorica dei leader arabi o, più recentemente, islamici), come effetto della guerra, Israele viene legittimato e la sua esistenza diviene un fatto assodato, non più messo in discussione.
Alla morte improvvisa di Nasser (1970) succedette Anwar al-Sādāt, che l’anno successivo promulgò una nuova Costituzione imprimendo una svolta liberale all’economia della nazione, in contrasto con l’orientamento del suo predecessore.
All’interno del vasto mondo arabo, è lo stesso sogno di una unità pan-araba, tanto vagheggiato da Nasser, che svaniva, lasciando posto alle politiche dei singoli stati. Nei fatti, paradossalmente, la guerra dei sei giorni è stata l’espressione dell’ultimo atto concreto di solidarietà pan-araba. Cessato il sogno di una unità pan-araba, è l’Islam che diventa l’elemento unificante, quello che fornirà identità, almeno per le masse arabe. È dall’Islam che nasceranno nuovi progetti politici.
Anwar al-Sādāt
Sadat aveva partecipato nel 1952 al colpo di Stato con cui i Liberi Ufficiali detronizzarono Re Faruq I. Nel 1969, dopo aver ricoperto diversi incarichi nel governo egiziano, venne scelto come Vice Presidente dal Presidente Gamāl ‘Abd al-Nāsser. Quando questi morì, l’anno seguente, Sādāt divenne Presidente.
La Guerra del Kippur
Nel 1973 Sādāt, assieme alla Siria, guidò l’Egitto nella guerra del Ramadan (o guerra del Kippur) contro Israele, in seguito alla quale Sādāt fu poi noto come l'”eroe dell’attraversamento”. Malgrado l’attacco che colse di sorpresa l’esercito, Israele riuscì a riorganizzarsi e fermare l’avanzata degli egiziani, che comunque recuperarono buona parte del Sinai.
Gli accordi di Camp David
Con l’attacco l’Egitto poté rivendicare di aver “lavato l’onta” della sconfitta del 1967 e ne derivò una legittimazione a gestire la politica estera in modo autonomo dal nasserismo: la adoperò per firmare gli accordi di Camp David (17 settembre 1978).
Nel settembre del 1981, Sādāt colpì duramente le organizzazioni musulmane, comprese quelle studentesche, e le organizzazioni copte, ordinando quasi 1600 arresti.
Nel frattempo il sostegno internazionale a Sādāt si affievolì a causa del suo modo autoritario di governare, della crisi economica e della repressione dei dissidenti. Ancor peggio, le politiche economiche di Sādāt accentuarono il divario tra ricchi e poveri in Egitto.
Il 6 ottobre dello stesso anno, Sādāt venne assassinato durante una parata al Cairo da Khalid al-Islambuli facente parte del gruppo al-Jihad. Gli succedette il Vice Presidente Hosnī Mubārak.
Ḥosnī Mubārak
Successe a Sadāt il vicepresidente Ḥosnī Mubārak, designato dal Parlamento e confermato poi con referendum popolare. In politica interna, il nuovo presidente proseguì nella direzione imboccata dal predecessore, pur in un clima di agitazioni sociali, in parte alimentate da correnti del fondamentalismo islamico e accompagnate dal costante peggioramento dell’economia, mentre in politica estera cercò di riavvicinare l’Egitto ai Paesi arabi.
Rieletto nel 1987, Mubārak ottenne il reintegro dell’Egitto nella Lega Araba (vertice di Casablanca, maggio 1989) e contemporaneamente migliorò i rapporti con Israele (che nel marzo 1989 restituiva la zona di Taba), cercando una mediazione con l’OLP.
In questo modo l’Egitto si riguadagnò il ruolo e il prestigio diplomatico tradizionali, ponendosi a capo dello schieramento moderato arabo, in sintonia con la politica di distensione attuata da USA e URSS.
In questa direzione, quindi, Mubārak mosse i suoi successivi passi: appoggiò l’Iraq nella guerra contro l’Iran; sostenne l’azione bellica degli Stati Uniti nella guerra del Golfo (gennaio-febbraio 1991) con la partecipazione di un contingente egiziano alla forza multinazionale; si adoperò nella concreta opera di mediazione diplomatica tra Gerusalemme e Damasco, che si concluse con lo storico incontro tra arabi e israeliani alla conferenza di pace per il Medio Oriente (Madrid, 30 ottobre 1991).
Proprio questa funzione di mediazione e di moderazione all’interno di un mondo arabo, percorso da nuovi fenomeni di integralismo, creò alcune serie difficoltà al Paese. In forte dissenso per la collocazione internazionale, considerata troppo filoccidentale, e facendo leva su un malcontento generato da una negativa situazione economica, nella primavera del 1992 gruppi di fondamentalisti islamici diedero vita a una vasta ondata di violenze.
Eletto ancora una volta nel 1993 capo dello Stato, Mubārak, nonostante le difficoltà di una trattativa complicata da una lunghissima stagione di odio e di terrore, nel 1994 confermò con la sua azione diplomatica il ruolo essenziale dell’Egitto per il raggiungimento dell’accordo tra Israele e OLP di ʽArafāt, che non casualmente quell’anno venne firmato al Cairo.
Nel frattempo, nonostante la durissima repressione nei confronti degli integralisti, il governo egiziano non riuscì a stroncare il fenomeno del fondamentalismo, che continuò a manifestarsi con attentati contro stranieri, intellettuali, cristiani copti e polizia. Nemmeno le più alte cariche di governo furono esenti da una tale virulenza terroristica: lo stesso Mubārak, pochi giorni prima della sua riconferma alla guida del Paese (settembre 1999), scampò a un attentato a Porto Said, rimanendo leggermente ferito.
Ancora una volta però le elezioni legislative del novembre 2000 confermarono il consenso alla politica perseguita da Mubārak, assegnando la maggioranza dei seggi al Partito nazionale democratico (PND) del presidente. Quando il presidente statunitense G. Bush, dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, cominciò una dura campagna repressiva contro il terrorismo islamico, il governo di Mubārak prese le distanze dall’opinione pubblica interna, per buona parte contraria all’intervento militare in Afghanistan, e si dichiarò favorevole alla guerra ai terroristi islamici, permettendo alle forze armate internazionali il transito attraverso i canale di Suez e confermando la posizione dell’Egitto di Paese arabo moderato.
Lavorando diplomaticamente in quest’ottica nel 2004 il governo riuscì a ripristinare le relazioni diplomatiche con l’Iran, interrotte dal 1980, e ad attivare una serie di accordi con il Sudan per il passaggio tra i due stati di persone e merci. Intanto il fenomeno mai sopito dell’integralismo nel luglio dell’anno successivo si manifestò a Sharm el Sheikh che venne colpita da un violento attentato terroristico in cui morirono ca. 90 persone.
Il presidente Mubārak e il suo partito vennero riconfermati sia nelle elezioni presidenziali sia in quelle legislative svoltesi entrambe nel 2005: bassa fu tuttavia l’affluenza al voto e l’opposizione denunciò brogli e pressioni sull’elettorato. In queste consultazioni l’organizzazione dei Fratelli musulmani conquistò il 20% dei seggi, ponendosi come la maggior forza politica dell’opposizione. Nel marzo 2007 si svolgeva un referendum per modificare la Costituzione in senso repressivo che, nonostante una partecipazione al voto molto bassa, veniva ritenuto valido.
Nel novembre del 2010 si svolgevano le elezioni in un clima di tensione e accuse di brogli. Il partito del presidente Mubārak otteneva 420 su 508 seggi, mentre la principale forza di opposizione, i Fratelli musulmani, decideva di non partecipare al secondo turno.
L’inizio del 2011 era segnato da un grave attentato terroristico contro la comunità copta ad Alessandria; un autobomba esplodeva fuori da una chiesa provocando morti e feriti.
La Primavera egiziana
Sempre nel mese di gennaio il governo veniva messo in difficoltà da una serie di manifestazioni popolari che chiedevano la fine del regime di Mubārak.
A seguito di una crescente crisi politica e istituzionale, e di sempre più numerose manifestazioni popolari, con scontri violenti tra governativi e antigovernativi, i maggiori partiti di opposizione affidavano a M. el-Baradei e ad altre personalità della società civile la guida nelle trattative con il governo.
Il presidente Mubārak, travolto dal malcontento popolare, rassegnava le dimissioni l’11 febbraio, lasciando il potere a Mohamed Hussein Tantawi, capo del consiglio militare. Nei giorni seguenti l’esercito scioglieva il parlamento e sospendeva la Costituzione, incaricando una commissione di giuristi di emanare un nuovo testo costituzionale da sottoporre a referendum.
In marzo veniva nominato primo ministro Essam Sharaf, con l’incarico di formare un governo provvisorio, in attesa di nuove elezioni; alcune modifiche costituzionali, riguardanti in particolare la durata e l’elezione del Presidente sono state approvate col 77% dei voti tramite un referendum sostenuto dal movimento religioso dei Fratelli musulmani e dal partito dell’ex presidente, ma contestato dai gruppi di giovani animatori delle proteste e dai principali candidati alla presidenza in pectore (Mohamed el-Baradei e Amr Mussa).
Nel frattempo le proteste continuavano a causa della lentezza con cui venivano introdotte le riforme promesse e i processi contro gli esponenti del regime, tra cui l’ex presidente Mubārak. In novembre ricominciavano le proteste di piazza, con scontri, feriti e morti tra i manifestanti che costringevano la giunta militare a nominare Kamal Ganzouri nuovo premier, in attesa delle elezioni.
In seguito alle complesse consultazioni elettorali iniziate a novembre, nel gennaio del 2012 si riuniva la nuova Assemblea del Popolo, conquistata dal partito Giustizia e Libertà (FJP), braccio politico dei Fratelli Musulmani, che otteneva 235 seggi su 498; i salafiti ottenevano 124 seggi, mentre i liberali 38; scarso il risultato per il blocco dei partiti di sinistra che arrivavano a 49 seggi.
La vittoria del candidato dei Fretelli Musulmani
Le successive elezioni presidenziali (23-24 maggio) vedevano la vittoria di Mohamed Morsi, candidato dei Fratelli Musulmani, che sconfiggeva di poco il candidato laico Ahmed Shafik. In giugno l’ex presidente Mubārak veniva condannato all’ergastolo.
Il colpo di stato dei militari
Nel luglio del 2013 il presidente Morsi veniva destituito da un colpo di stato, dopo giorni di proteste e manifestazioni di piazza. Alle elezioni presidenziali del 2014 vinceva con il 96,91% dei voti il generale Abdel Fattah el-Sisi.
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