Le guerre arabo-israeliane

Le guerre arabo-israeliane

La prima guerra – 1948

All’indomani della proclamazione della nascita di Israele (15 maggio 1948) gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano, che avevano rifiutato la spartizione della Palestina proposta dall’ONU con la risoluzione 181, invasero il territorio del nuovo Stato ebraico. Israele respinse le forze nemiche e invase la Penisola del Sinai.

In seguito alla tregua del luglio 1948, Israele estese i propri confini incorporando la Galilea orientale, il Negev e una striscia di territorio fino a Gerusalemme, di cui occupò la metà occidentale. Seguì, nel 1949, una serie di armistizi separati fra lo Stato ebraico e l’Egitto, che occupò la Striscia di Gaza; la Transgiordania (che da allora prese il nome di Giordania) che occupò la Cisgiordania; il Libano e la Siria. I tentativi dell’ONU di giungere a un trattato di pace fallirono e permasero i motivi di tensione tra i diversi Paesi, ai quali si aggiunse il problema dei profughi palestinesi dislocati dall’occupazione israeliana.

La seconda guerra – 1956

Nel 1956, al culmine di un periodo di tensione ai confini israelo-egiziani, scoppiò la seconda guerra quando il presidente egiziano Nasser bloccò gli stretti di Tiran e il golfo di ‛Aqaba, impedendo l’accesso al mare di Israele. L’esercito israeliano compì una fulminea avanzata nel Sinai sino al canale di Suez (29 ott.-5 nov.). Anche Francia e Gran Bretagna, i cui interessi erano stati colpiti dalla nazionalizzazione del canale attuata in quell’anno da Nasser, entrarono nel conflitto (30 ott.). Tale intervento fu condannato dall’URSS, dagli USA e dall’ONU che, quando cessarono le ostilità (9 nov.), inviò in Egitto una forza d’interposizione (i caschi blu, creati in quell’occasione) nel Sinai, forzando al ritiro le forze anglo-francesi e Israele. Lo status quo territoriale non conobbe modifiche ma fu ripristinata la libertà di navigazione israeliana.

La terza guerra, detta «dei Sei giorni» – 1967

La situazione precipitò di nuovo nel maggio 1967 quando Nasser chiese il ritiro dei caschi blu disposti lungo la frontiera del Sinai e bloccò il traffico navale nel golfo di ‛Aqaba. Il 5 giugno Israele dette inizio alle ostilità con una serie di raid aerei che distrussero l’aviazione di Egitto, Siria, Giordania e Iraq. Nei giorni che seguirono, fino al 10, le forze israeliane occuparono Gaza e il Sinai a danno dell’Egitto, la Cisgiordania e la parte araba di Gerusalemme a danno della Giordania, gli altipiani del Golan a danno della Siria.

La quarta guerra, detta «del Kippur» – 1973

Il 6 ott. 1973, giorno della festa ebraica del Kippur, l’offensiva a sorpresa delle truppe egiziane e siriane aprì la guerra. Il successo iniziale delle forze arabe fu seguito da una controffensiva dell’esercito israeliano, che giunse a poche decine di km dal Cairo. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ottenne la cessazione dei combattimenti, sancita nel 1974-75 dagli accordi fra Israele, Egitto e Siria, che consentirono, fra l’altro, la riapertura del canale di Suez (giugno 1975), rimasto chiuso dopo la guerra del 1967.

Altri conflitti

A questi conflitti generali si devono aggiungere la cosiddetta “guerra di logoramento” o “di attrito” sul canale di Suez (marzo 1969 – agosto 1970), la guerra di usura sul Golan (marzo-maggio 1974) e la parziale occupazione israeliana del Libano nel marzo-giugno 1978, reiterata dal giugno 1982 al giugno 1985.

L’attacco israeliano in Libano – Operazione “Pace in Galilea” – 1982

Le contraddizioni del processo di pace che pure era stato avviato si evidenziarono in occasione dell’attacco israeliano in Libano (operazione ”Pace in Galilea”) del 6 giugno 1982, che determinò il congelamento delle relazioni con l’Egitto da poco ripristinate. L’attacco puntava a ottenere un ampliamento dell’area egemonica israeliana in una direzione verso cui da sempre sussistevano storiche aspirazioni. In tal senso andavano gli episodi di violenza e sconfinamento reiterati per anni lungo la frontiera libanese; così pure la creazione da parte di Israele di un corpo di miliziani mercenari per il Libano meridionale capeggiati da S. Ḥaddād e poi da A. Laḥad, sino al piano per la distruzione della rete di autogestione civile e militare costituito da tempo in territorio libanese dall’OLP e al meticoloso accordo stipulato con la fazione falangista per l’instaurazione di un governo favorevole all’alleanza con Israele. Tutto ciò stava a indicare come l’obiettivo delle autorità israeliane fosse quello di provocare un cambiamento radicale nell’assetto politico e negli orientamenti internazionali del Libano, facendo leva sulla fragilità interna di questo paese determinata da un decennio di guerra civile, e limitando il più possibile gli scontri diretti e frontali con gli eserciti arabi meglio preparati.

Una conferma di questi intendimenti furono le discussioni che divisero i dirigenti israeliani alla vigilia dell’azione, e cioè se sviluppare l’offensiva sino a Beirut, cogliendo l’occasione per infliggere un colpo al sistema missilistico installato dai Siriani sul suolo del Libano, oppure limitare la penetrazione a circa 40 km dal confine evitando il contatto con le truppe di Damasco. Com’è noto, il governo israeliano scelse la prima opzione con tutti gli inconvenienti a essa inerenti. L’avanzata lungo la costa, dove in particolare erano insediati i guerriglieri palestinesi, fu sì rapida, ma non risultò agevole, né riuscì a evitare che la maggioranza dei guerriglieri ripiegasse sulla capitale, asserragliandovisi, mentre coinvolse pesantemente le popolazioni civili. L’offensiva che da Est s’indirizzò contro le posizioni siriane incontrò, invece, tenace resistenza, e non riuscì a bloccare l’accorrere di contingenti da Damasco; essa ottenne che gli aerei israeliani colpissero con forza le postazioni missilistiche, ma fallì l’obiettivo di tagliare la strada Beirut-Damasco e bloccare l’afflusso di uomini, armi e merci.

Sul piano politico, Israele riuscì a imporre il 23 agosto 1982, in Beirut assediata, l’elezione a presidente della Repubblica dell’amico Bašīr Ǧumayyil (Gemayel), capo del partito della Falange: tuttavia la sua uccisione in un attentato, la successiva strage di ritorsione nei campi profughi palestinesi di Ṣabrā e Šātīlā sotto gli occhi dei soldati israeliani, e l’elezione del più cauto fratello Amīn Ǧumayyil furono altrettanti elementi che imposero il protarsi e il complicarsi dell’occupazione israeliana rendendola al tempo stesso più costosa per gli occupanti e meno sopportabile per le masse dei territori occupati. Anche per questo Tel-Aviv accettò l’arrivo a Beirut della Forza multinazionale composta da contingenti di Stati Uniti, Francia, Italia e Gran Bretagna che permise l’evacuazione dei combattenti palestinesi e, anche se non evitò la strage nei due campi profughi, determinò un relativo sganciamento dell’esercito israeliano dal movimento di resistenza nazionale libanese in piena ascesa.

La spedizione israeliana, che avrebbe dovuto durare tre settimane, si concludeva solo a me tà del 1985, dopo che già dal febbraio 1984 i contingenti multinazionali avevano dovuto abban donare il paese, lasciando un territorio ostile, devastato dalla guerriglia e dalla controguerriglia, al prezzo di centinaia di morti e di migliaia di feriti. Le forze armate israeliane, di fatto, non era no riuscite a conquistare il Libano e, pur continuando a mantenere stretti rapporti con le destre cristiane, decidevano di ripiegare sull’occupazione della cosiddetta ”fascia di sicurezza”, cioè di un territorio di circa 1000 km2 che si estende lungo il confine con Israele: oltre che di notevole importanza militare per la possibilità di puntate offensive nel cuore del paese, ha rilevanza economica favorendo l’esportazione di merci israeliane e lo sfruttamento dei fiumi ḤāṢbānī e Wazzānī.

Operazione “Piombo fuso” nella striscia di Gaza – 2008-09

Si tratta della campagna militare israeliana nella Striscia di Gaza (27 dicembre 2008 – 18 gennaio 2009), avviata in seguito al ripetuto lancio di missili contro Israele da parte di Ḥamās. Già negli anni precedenti, tra il 2006 e il 2007, si erano intensificate le operazioni militari israeliane a Gaza con l’obiettivo dichiarato di smantellare le basi di lancio dei missili Qassam che minacciavano ripetutamente Sderot, il deserto del Negev, Ashkelon e la città costiera di Ashod.

All’inizio del 2008 l’alleanza tra Ḥamās, il partito libanese Hezbollah (Ḩizb Allāh) e l’Iran del presidente M. Aḥmadīnejād, potenziava la forza militare di Ḥamās, ma non risparmiava alla popolazione della Striscia un’ennesima prova di resistenza: il 18 gennaio Israele chiudeva ancora una volta Gaza in una morsa tagliando tutti i rifornimenti (cibo, combustile, aiuti umanitari) e il 23 gennaio alcune centinaia di migliaia di palestinesi forzavano la barriera israeliana al valico di Rafah, al confine con l’Egitto, in cerca di cibo e assistenza.

Pronta ad approfittare della tragedia della popolazione, Ḥamās alzava i toni della sua propaganda anti-israeliana per guadagnare attenzione e appoggi nella comunità internazionale, ma alla fine dell’anno, il 27 dicembre, Israele scatenava una nuova guerra a Gaza: obiettivo dell’attacco era porre fine al lancio di razzi sul territorio israeliano che dal 2000 aveva provocato 28 vittime. Con il cessate il fuoco del 18 gennaio 2009 e il ritiro delle truppe israeliane dopo l’operazione p. f., Gaza appariva un campo di rovine: tra 1166 e 1417 morti il bilancio delle vittime tra i palestinesi, e moltissime le perdite registrate tra i civili; 13 gli israeliani morti, 10 militari e tre civili. L’impressione suscitata nel mondo dalla situazione a Gaza spinse il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a istituire una Commissione d’indagine i cui risultati furono resi noti nel settembre 2009: nella dichiarazione, successivamente sconfessata dal presidente, ma non dagli altri membri della Commissione, si leggeva che durante l’operazione militare Israele aveva reiteratamente violato i diritti umani della popolazione palestinese.



Categorie:G03- Storia contemporanea dei paesi arabi - Contemporary History of the Arabic Countries

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