Antonio De Lisa- Onde

Antonio De Lisa- Onde

Le ondate ventose del Maestrale portano spesso mari in tempesta, con violente mareggiate sulle coste occidentali e settentrionali della Sardegna e tirreniche della Campania, della Calabria e della Sicilia. Rinfrescano l’aria ma fanno ribollire e spumeggiare le acque. In prossimità della costa, se il vento che spira è di intensità adeguata, si possono ammassare  notevoli masse d’acqua che, non potendo rifluire verso il largo a causa del vento contrario, danno luogo a forti correnti che scorrono parallelamente alla costa. In questi casi il mare sembra un fiume vorticoso e fare il bagno è un rischio mortale.

Il mare di Velia col vento di maestrale ti toglie la sabbia da sotto i piedi. E’ una mare predatore. Potente. Infedele. Basta pochissimo per sentirne il richiamo. Tira come un animale impazzito. Il giornale di oggi porta la notizia di un uomo di 45 anni annegato a pochi chilometri da qui, dietro Capo Palinuro. Si era tuffato per salvare tre ragazzi in difficoltà, ma non ce l’ha fatta. E’ annegato sotto gli occhi della moglie incinta di sette mesi. Una tragedia, la cui eco risuona in tutto il Vallo di Diano, alle spalle del Cilento, alle spalle di questo mare.

Lo stesso giornale, nelle pagine interne, parla del mito di Kamaraton, per spiegare l’origine del nome Camerota. Mi colpisce l’involontario accostamento. La tradizione antica, in riferimento alle sirene dell’Odissea, concorda sul numero fissato a tre. Per quanto riguarda i nomi, invece, ne tramanda due gruppi di tre. Il primo gruppo formato da Partenope, Leucosia e Ligea, risale alla tradizione occidentale. Il Secondo gruppo formato da Molpe, Theilxinoe ed Aglaophone, risale ad una tradizione omerica.

Leucosia, secondo una ipotesi comunemente ammessa, è l’equivalente di Leucotea, divinità marina venerata, secondo Aristotele, anche ad Elea. Quindi ai Focei di Elea si potrebbe attribuire la diffusione in occidente del mito delle sirene. Molpe, una delle sirene della tradizione omerica, è stata messa in relazione con Molpa e quindi localizzata nei pressi di Palinuro. Indubbiamente è singolare trovare localizzate due sirene, Leucosia e Molpe, nei pressi dei due promontori (punta Licosa e Capo Palinuro) che costituiscono i limiti del golfo e probalbilmente anche i confini del territorio di Elea.

Torno a mettere i piedi in acqua, sotto Velia, passeggiando sulla riva. Solo che oggi il vento è cambiato. Oggi spira lo Scirocco che fa bollire le cellule, che ti schiaccia al suolo in una cappa incandescente. Col Maestrale la forza è orizzontale e avvolgente, con lo Scirocco la forza preme dall’alto, senza scampo. Il vento caldo proveniente da Sud-Est porta contemporaneamente umidità dal mare e polvere dal nord Africa. Toglie le forze, ingarbuglia i pensieri.

Non so che segno sia, ma sta di fatto che ho sognato il Pakistan. In realtà ho solo visto la periferia di una grande città, ma qualcosa mi diceva che quello fosse il Pakistan. Sembrava la periferia di Teheran, ma non era Teheran. Qualcuno mi spiegava qualcosa, come a volermi confermare che dall’altra parte della frontiera c’era l’Iran. Il Pakistan che ho visto in sogno somigliava all’India, ma la gente vestiva in modo simile agli iraniani. Stavo chiedendo a qualcuno come si arrivasse da Karachi a Islamabad. Volevo lasciare quella città portuale, vedere qualcos’altro, non perché la città sia stata definita ”la metropoli più pericolosa del mondo”, per via del tasso di omicidi che è del 25% più alto rispetto a quello delle altre megalopoli mondiali.  Volevo lascirmi alle spalle quei 23 milioni di abitanti, ma senza un motivo particolare.

Con la coda dell’occhio osservavo un gruppo di occidentali con scarponi di alta montagna che salivano su una jeep. La parte del Kashmir amministrata dal Pakistan comprende alcune delle montagne più alte del mondo, tra cui la seconda in altezza, il K2. Forse erano diretti nel Kashmir. L’immagine non era realistica. Sembrava il ritratto a tempera di una vecchia copertina della “Domenica del corriere”, con i tratti esagerati e la postura da arrampicatori. Il K2.  Intanto la città formicolava di pullman carichi di gente che incrociavano in tutte le direzioni.

Poi entravo in una locanda. Il vecchio e grasso prorpietario alzava gli occhi da un giornale,  io chiedevo se ci fosse una stanza libera. Shayad (forse). Il vecchio si apriva in un sorriso e mi raccontava un fatto del giorno: una bambina di 10 anni era stata rapita e violentata  a Faisalabad, nella provincia pachistana del Punjab. Si trattava del secondo caso di questo genere dopo uno stupro a Lahore di una bimba di cinque anni, ricoverata in condizioni serie in un ospedale cittadino. Il nuovo episodio era avvenuto nell’area di Kanjwani mentre la bambina stava giocando vicino ad un mercato. La polizia ha annunciato di avere arrestato cinque persone sospette. Non riuscivo a capire perché il proprietario della locanda mi raccontasse questa storia. Poi vedevo una bambina di cinque anni che scendeva lentamente le scale della locanda con una grossa chiave in mano: era quella della mia stanza. La bambina abbassava glio occhi con un sorriso e il vecchio gli faceva cenno di allontanarsi, ma con benevolenza, senza animosità.

Cercavo nel mio manuale di conversazione in urdu come si diceva grazie in quella lingua: Schukria!. Sembrava simile all’arabo shukrun. Strana lingua l’urdu. Il proprietario della locanda volle vederlo e dopo averlo consultato me lo restituiva soddisfatto, come se capire da parte mia quello che eventualmente avrebbe voluto comunicarmi costituisse una garanzia di serietà e di pagamento.

La  camera non aveva bagno, che era in comune sul ballatoio. Dal lavandino spuntava uno scarafaggio, ma non mi faceva impressione, come se volesse darmi il benvenuto. Dopo aver disfatto lo zaino mi appoggiavo sul letto saggiandone la consistenza. Sembrava pulito. Poi improvvisamente avvertivo un urlo nel corridoio, un urlo di donna. Mi affacciai, ma non vidi nessuno. Pensai di averlo sognato nel breve assopimento che era seguito. Poi sentii di nuovo una voce: Meri umar pandra saal hai (Ho quindici anni), ma non capivo se veniva dal corridoio o dalla finestra di fronte, che era aperta.

Da una radio proveniva la gracchiante voce di un messaggio. All’inizio era solo un rumore, poi cominciavo a distinguere le parole: Le Autorità locali hanno annunciato che le forze paramilitari dei “Rangers” stanno per condurre a Karachi un’operazione per combattere la piaga della criminalità dilagante, con speciale mandato per epurare la città dai killers su commissione, gli estorsionisti e criminali di ogni genere e ristabilire ordine e legalità.  L’operazione sarà presumibilmente concentrata nelle zone della città e della provincia dove più attivi sono i gruppi malavitosi, ma non possono escludersi ripercussioni sulla vita quotidiana  anche altrove, disagi per posti di blocco e chiusura di strade ed altre simili misure. Si raccomanda pertanto di elevare il livello di prudenza ed attenzione nei prossimi giorni, di tenersi informati quotidianamente sulla situazione evitando accuratamente i percorsi a rischio, e di limitare conseguentemente gli spostamenti allo stretto necessario. A seguito di recenti e reiterati episodi terroristici anche ai danni di alpinisti stranieri nella regione del Gilgit Baltistan, si sconsigliano escursioni in tale area. Le spedizioni alpinistiche e gli stessi spostamenti lungo la Karakorum Highway sono in ogni caso al momento soggetti a restrizioni di entità variabile da parte delle Autorità locali.

La situazione in Pakistan è talmente insicura che le  Autorità pakistane richiedono dei permessi (“No Objection Certificate”) per l’accesso a numerose aree del Paese; la lista di tali aree è soggetta a continue variazioni. A tale normativa si devono attenere anche le Organizzazioni Umanitarie. In occasione di situazioni a rischio sicurezza, quali ad esempio manifestazioni per ricorrenze civili o religiose, nonché in caso di proteste o disordini, le Autorità pakistane possono sospendere i servizi di telefonia cellulare. Tali interruzioni si verificano con breve preavviso.

Non so quanto ho dormito. Vedo le prime ombre della sera. Volevo andare un po’ in giro. Assaporavo il gusto di una proficua esplorazione cittadina, ma poi qualcosa mi ha svegliato e non sono riuscito a prendere sonno.

Il mare è più quieto, ha sfogato la sua furia. Le sirene tacciono. Ma l’immagine della tempesta non si è sbiadita. Il mare in tempesta sembra l’immagine del caos. Spumeggiante come un toro impazzito. Ma anche nel caos c’è una perfezione naturale, quella che siamo così incapaci di vedere. E’ lì che si ascolta Il respiro possente della natura. Mi è capitato di accorgemene proprio mentre rischiavo di annegare, in un pomeriggio di follia nel mare di Ascea. la sensazione bruciante di non farcela toglieva il respiro, in onde che si facevano sempre più alte. Fortuna che avevo un amico vicino, che continuava a gridare nei flutti, ma non capivo quello che diceva. Poi finalmente capii: “Lasciati andare!”. Come, lasciarsi andare? Verso il largo, verso la morte? Ma aveva ragione. Quel mare è un golfo aperto. Le correnti avrebbero salvato il naufrago dopo un allontanamento che descriveva una parabola. Mi portarono a riva cinque chilometri più a sud, verso gli scogli. Stanco, sfinito, ma con la sensazione di aver imparato una cosa importante. Anneghiamo se pretendiamo di afferrare, fronteggiare insensatamente le avversità. Se le assecondi, ti salvi. Ti salvi se hai la saggezza di aspettare che le cose vengano verso di te. Come quella del mio amico.

Antonio De Lisa

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