Antonio De Lisa- Il sole belva dell’altopiano
Viaggio nell’Iran profondo
La comunicazione con il resto del mondo in Iran si rivelerà subito avventurosa, ma questo non mi impedirà di coglierne la grande bellezza. In questo momento sono a metà del viaggio e solo ora ho potuto stabilire una qualche forma di rapporto con l’esterno. Quidi comincio il racconto in media res. Sono talmente tante le cose da dire che se non le scrivo subito me le dimentico. Fogli e fogliettini sono sparsi ovunque nei miei bagagli. Li sto raccogliendo a fatica, nella notte di Isfahan. Una notte calda. Con la luna piena, che sto osservando ora dall’hotel Aseman.
Il viaggio dalla città in cui ero stamattina, Yazd, è stato faticoso, in un caldo feroce. E’ il sole belva degli altipiani, in un deserto ghiaioso che si alterna alla steppa, a 1500-2000 metri di altitudine. E’ la via che viene dal Pakistan. I camion in transito alzano nuvole di polvere, che si mischia ai vortici di aria surriscaldata. Mi bruciavano gli occhi, ma ora è tutto passato.
Ho finito da poco di cenare nel ristorante Sherzade, pieno di specchi e sfavillante di luci. La sala era strapiena di gente. Le persone a Isfahan sono molto curate, si sente una diversa energia nella vecchia capiale dei savafidi rispetto alla città che ho lasciato stamattina, Yazd, come dicevo. E’ stato come passare dall’Iran profondo e devoto a un Iran dinamico e un tantino troppo consapevole di sé, chiassoso, forse persino un po’ arrogante. A cena ho ordinato un piatto di ragù di pollo con sugo di melograno e uva, che ho trovato squisito. L’ho accompagato con una bevanda di yogurt liquido e menta.
Raramente mi sono dovuto lamentare del cibo durante il viaggio. Anche i chioschetti che ho incontrato nelle città, da Shiraz a Yazd, da Yazd a Na’in, da Na’in a Isfahan a Kashan, hanno svolto egregiamente il loro compito. Nei “fast food” spesso si trovano degli ottimi falafel; nei trabocchevoli negozi di frutta c’è tutto un mondo da esplorare; nelle mescite i frullati, specie quello di melone, sono gustosissimi e dissetanti.
Mi sono avviato lentamente e a piedi verso l’albergo, nel sempiterno traffico asiatico, fiumi di macchine che riempiono strade e viali, fumando una sigaretta locale: filtro bianco e tiraggio aleatorio. In questo paese le comodità sono un optional prezioso, ma a me basta l’essenziale. La gente si accontenta di quello che ha, in un sistema autarchico rigorosissimo, ma quando può si cura al meglio, soprattutto le ragazze.
Nella considerazione generale del paese che sto attraversando con vivo interesse bisogna sempre operare su due livelli: uno è quello ufficiale, che è meglio tenere da parte; l’altro è quello popolare. Sul secondo non si può dire altro che bene.
La gente si riversa per le strade a qualsiasi ora del giorno e della sera. All’uscita del ristorante ho fatto un giro nella Piazza dell’Imam (Maydam Imam), nel centro di Isfahan; una piazza immensa: lunga 500 metri e 160 larga, una delle più grandi del mondo. Il prato nelle aiole della piazza era punteggiato da intere famiglie che si preparavano da mangiare, con tutto l’occorrente, compreso il fornelletto. Ho l’idea che l’aria negli appartamenti sia irrespirabile, meglio il fresco della sera e della notte, sdraiati nel pieno centro.
Accanto all’entrata dell’Hotel Aseman ci sono diversi localini di frullati e gelati. Sorbendo con lentezza un frullato di carote parlo un po’ con i ragazzi che gestiscono il posto. Ci scambiamo gli indirizzi di Facebook, ma poi mi ricordo che lì non posso usare Facebook, oscurato dalla censura: quando tento di accedere al profilo mi compare una pagina in farsi. I ragazzi mi stanno spiegando che quella è la pagina della Guida suprema. Appena digiti nella barra dell’indirizzo di Google un nome strano o che ha a che fare con Facebook, Twitter e Youtube ti compare questa pagina: è il filtro he il regime ha imposto al paese, una forma di censura generalizzata. I mullah hanno avuto paura del ruolo che hanno giocato i social network nel mondo arabo e in Turchia e sono corsi ai ripari, filtrando tutta la rete in uscita dall’Iran. Ma i ragazzi mi spiegano che esiste un’applicazione che si chiama “Freegate” che bypassa il filtro. In Iran la usano tutti, anche se con qualche cautela. Quest’applicazione è stata creata in Cina per superare la barriera della censura e poi si è diffusa in tutto il mondo. Accanto all’economia si è globalizzata la censura, ma anche un movimento mondile anti-censura, il cui strumento principale è Internet, la voce collettiva del XXI secolo.
E’ proprio grazie a questo antifiltro che riesco a scrvere queste note. Mi metto comodo nella camera dell’Aseman, giro il piccolo scrittoio verso la vetrata da cui arrivano le luci di Isfahan e comincio a scrivere. La connessione è eccellente. Mi apro una lattina di birra senza alcol al sapore di pesca. E’ la cosa più appetibile che ho trovato nel minibar.
Il giorno dopo mi sveglio con calma, per recuperare un po’ la stanchezza. Dopo un’abbondante colazione (datteri, crema di cardamomo, burro, marmellata di carote) mi avvio lentamente nelle vie del vecchio quartiere armeno di Isfahan. La città è trafficatissima, ma nel cortile della chiesa armena regna un’atmosfera di silenzio e di pace. La chiesa è visitata anche da molti musulmani. Una cosa che mi ha colpito dell’Iran è che i suoi abitanti visitano in massa ogni genere di monumento. C’è una smania di movimento che forse compensa alcune privazioni, come quella di viaggiare o parlare liberamente. L’effetto di questo movimento è che la gente è mediamente colta sulla propria storia nazionale; questa volontà di ricollegarsi alla propria storia alimenta un sentimento di orgoglio neo-persiano che è visibile ovunque. A Persepoli intere scolaresche sciamavano tra i resti di quel sito suggestivo, sotto un caldo che scorticava la pelle, una specie di delirio termico nel quale ci i muoveva come atomi.
La splendida Persepoli, i resti della città regale – della città abitata dal popolo non è rimasto nulla- realizzata per volontà di Dario, che predispose la dislocazione palaziale a illustrazione della magnificenza persiana, fu letteralmente depredata da Alessandro Magno. Qualcuno ha scritto che quel gesto intendeva vendicare, da parte del condottiero macedone, l’incendio di Atene appiccato dai persiani. Persepoli è come una specie di gigantesco monumento al grande scontro, Persia contro Grecia. Le porte di Persepoli sono rivolte verso Occidente: è lì il nemico.
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