Chapulling- La rivolta per Gezi Park in Turchia

Çapuling, pseudoanglicismo coniato in occasione delle proteste

Çapuling, pseudoanglicismo coniato in occasione delle proteste

Chapulling- La rivolta per Gezi Park in Turchia

Nella città di Istanbul Taksim rappresenta un hub di trasporto principale e una destinazione popolare per i turisti e la popolazione nativa di Istanbul. İstiklal Caddesi (Viale Indipendenza) è una lunga strada pedonale dello shopping che termina in questa piazza, nello stesso luogo in cui termina il percorso del vecchio tram che va da Galata lungo il viale, terminando la sua corsa nei pressi del Tunnel (1875), la seconda stazione della metropolitana in sotterranea più antica del mondo dopo la metropolitana di Londra (1863). Nei dintorni di piazza Taksim vi sono numerose agenzie di viaggio, hotel, ristoranti, pub e catene internazionali di fast food come Pizza Hut, McDonald e Burger King. La piazza è anche sede di alcuni dei più grandi alberghi di Istanbul tra cui l’InterContinental, il Ritz-Carlton e The Marmara.

Sulla piazza si svolgono anche i maggiori eventi pubblici come parate, feste di capo d’anno e altre manifestazioni popolari. In essa è ubicato anche l’Atatürk Cultural Center (Atatürk Kültür Merkezi), un edificio multifunzione utilizzato anche come teatro d’opera.

Nei pressi di Piazza Taksim è presente il Parco Gezi, un piccolo parco urbano. Nel maggio del 2013, il comune di Istanbul ha progettato di distruggere il parco per ricostruire l’ex caserma militare Taksim (demolita nel 1940), destinata ad ospitare un nuovo centro commerciale, scatenando le proteste della popolazione. Tali proteste si sono poi diffuse anche in altre città della Turchia come reazione spontanea all’eccessiva violenza impiegata dalla polizia turca nel disperdere i manifestanti. Le proteste si sono estese con una serie di manifestazioni di dissenso nei riguardi del governo di Recep Tayyip Erdoğan iniziate il 28 maggio 2013.

Le proteste hanno avuto origine da un sit-in di una cinquantina di persone che manifestavano contro la costruzione di un centro commerciale al posto del Parco Gezi a Istanbul. Tale protesta ha avuto risonanza nazionale dopo che i manifestanti sono stati attaccati dalla polizia e ciò ha portato ad ampliare il motivo del dissenso verso istanze politiche più generali, dando infine vita a manifestazioni in tutto il Paese represse violentemente dal governo. L’indignazione causata da un uso sproporzionato della forza nei riguardi di un movimento essenzialmente pacifico, ha esteso il dissenso oltre i confini nazionali, con manifestazioni contro Erdoğan in paesi di tutto il mondo e la critica della comunità internazionale espressa anche per vie ufficiali, come nel caso dell’Unione Europea, dell’ONU e degli Stati Uniti.

Le squadre antisommossa impiegate dal governo si sono contraddistinte per un atteggiamento ai limiti della legalità, con uso massiccio di spray al peperoncino su persone inermi, lanci di gas lacrimogeno ad altezza d’uomo e l’aggiunta di urticanti all’acqua dei TOMA (camion muniti di idranti).

Il bilancio attuale è di 6 morti e oltre 4000 feriti, rende questo uno degli avvenimenti più drammatici della storia della Turchia moderna. Numerosissimi anche gli arresti, con eclatanti blitz per arrestare avvocati e medici che assistevano i manifestanti. Secondo fonti governative, più di 900 persone sono state prese in custodia, in più di 90 manifestazioni in 48 province.

A partire dal 2011, il partito moderato islamico turco “Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), guidato dal Primo ministro Recep Tayyip Erdoğan, ha iniziato a imporre restrizioni alle libertà di parola e di stampa (anche sui contenuti televisivi) e all’uso di internet, ha imposto il divieto di consumo di alcol, quello di aborto, e di riunirsi liberamente. È stato reintrodotto il reato di blasfemia e la possibilità per le donne di portare il velo islamico nelle università e nei luoghi pubblici (prima vietato). Nel 2012 è stata approvata dal parlamento una riforma dei programmi d’istruzione delle scuole pubbliche primarie e superiori in spregio della legislazione kemalista, al fine di rafforzare i sempre più emergenti sostenitori dei principi islamici. La posizione del governo sulla guerra civile in Siria è un’altra causa delle tensioni sociali nel Paese.
Il governo è stato progressivamente percepito da alcuni gruppi di dissidenti e oppositori come sempre più orientato a reintrodurre i valori islamici nella politica e nella società, oltre che fortemente autoritario.

Nella regione turca del Mar Nero, vista come l’area più nazionalista del paese, dalla fine del 2011 decine di proteste si sono tenute contro il governo e relativamente alla costruzione di discariche di rifiuti, centrali nucleari, autostrade, fabbriche e dighe. Musicisti locali e attivisti hanno invitato il popolo turco a una rivoluzione per la natura.

La causa principale della protesta è la proposta di rimozione del parco Gezi, uno dei pochi spazi verdi presenti nella parte europea di Istanbul, al suo posto sarebbe dovuta sorgere una ricostruzione in stile ottomano della Caserma Militare Taksim, demolita nel 1940. Il piano terra del nuovo edificio ricostruito avrebbe dovuto ospitare un centro commerciale, i piani superiori degli appartamenti di lusso.
Nell’aprile 2013 ha inizio un movimento di protesta contro questo progetto e il 28 maggio una cinquantina di ambientalisti installa tende da campeggio nel parco con lo scopo di occuparlo.
Il 30 maggio la polizia effettua un primo blitz, ma i manifestanti lanciano on-line appelli di rinforzo e la notte ai presenti si aggiungono altri manifestanti per campeggiare al Parco Gezi.
Il 31 maggio 2013, la polizia attacca i manifestanti con gas lacrimogeni e idranti, arrestando almeno 60 dimostranti e ferendo centinaia di persone. L’azione di polizia riceve grande attenzione in Internet, soprattutto nei social media, provocando l’indignazione di moltissimi cittadini turchi. I manifestanti organizzati, riuniti in Istiklal Caddesi (Viale dell’indipendenza), vengono raggiunti da migliaia di altri cittadini nella notte del 31 maggio.

Il fenomeno di protesta si allarga sempre di più nei primi giorni di giugno, coinvolgendo gran parte della società civile. Piazza Taksim ed il parco Gezi diventano un simbolo sempre più forte della protesta e il 1º giugno migliaia di persone si mobilitano e da Kadıköy (la parte asiatica della città) attraversano a piedi il ponte sul Bosforo per raggiungere i manifestanti.
La sproporzione nel reprimere le folle è tale che addirittura il vice-primo ministro Bülent Arınç rilascia dichiarazioni in cui critica l’uso dei lacrimogeni, e il presidente Abdullah Gül dichiara che la protesta sta raggiungendo livelli preoccupanti. Erdoğan intanto si esibisce in un infiammato intervento in televisione sostenendo che “quando loro riuniscono 20 persone, io ne chiamerò 200.000. Quando loro ne portano 100.000, io ne avrò un milione”.
Sono sempre del 1º giugno le prime manifestazioni ad Ankara e Antalya, a cui la polizia reagisce con violenza.

Filmati degli interventi della polizia iniziano a circolare e il 2 giugno il presidente Gül interviene per moderare, ottenendo che il ministro degli Interni Muammer Güler permetta agli occupanti di rientrare a Taksim.
Lo stesso giorno però a Izmir (Smirne) la polizia disperde con la forza una folla che, riunitasi per protestare ma anche per pulire le strade dai rifiuti del giorno prima, era cresciuta nell’arco della giornata fino a contare diverse migliaia di cittadini fra cui anche il governatore dell’area metropolitana di Smirne, Aziz Kocaoğlu. Numerosi i danni alle vetrine di negozi a causa dell’uso di idranti e dei lacrimogeni, segnalati anche diversi casi di uso della forza contro minorenni inermi.

Ad Ankara dopo una giornata di lotte con la polizia decine di migliaia di manifestanti riescono ad occupare Kızılay Square ed iniziano ad innalzare barricate. Una macchina si schianta sulla folla nella piazza uccidendo un manifestante, si sospetta che alla guida ci fosse un vigile.
A Istanbul le forze di polizia impediscono il passaggio del ponte sul Bosforo da parte delle migliaia di persone che, dalla parte asiatica della città, vogliono unirsi ai manifestanti di Taksim.

Abdüllatif Şener, co-fondatore dell’AKP (il partito di Erdoğan), ed ex vice-ministro di Erdoğan, interviene dal vivo in una trasmissione di Halk TV il 3 giugno, criticando fortemente la maniera in cui i membri del suo ex-partito ed in particolare Erdoğan stanno affrontando il problema. Nell’intervento Şener si schiera di fatto con i manifestanti, dichiarando che alla base della costruzione del mall nel parco Gezi ci sono sicuramente oscuri interessi personali del Primo ministro e che “è tipico di Recep Tayyip Erdoğan scappare”, in riferimento alla notizia che urgenti impegni diplomatici lo porteranno all’estero per tre giorni.

Sempre il 3 giugno la moschea Dolmabahçe inizia ad accogliere i manifestanti feriti o intossicati dal gas e medici che li assistono, diventando un ospedale improvvisato. La moschea diventa oggetto di grande polemica nei discorsi pubblici di Erdoğan, in cui a più riprese il primo ministro dichiara che i manifestanti l’hanno invasa con birre in mano e scarpe ai piedi per irriverenza verso le regole dell’islam. La tesi viene rigettata fermamente dall’imam della moschea che dichiara che nessuno è entrato con le birre in mano.

Lo stesso giorno ad Antakya muore un giovane di 22 anni, Abdullah Cömert, a causa di un colpo alla testa. È la seconda vittima dall’inizio delle proteste.

Il 3 giugno Erdoğan parte per tre giorni in una serie d’incontri diplomatici in Nordafrica. Bülent Arınç, vice-ministro di Erdoğan che in sua assenza ne fa le veci, si scusa per l’eccesso di violenza all’inizio della protesta, ma non per quella legati agli ultimi eventi.

Ad Antakya la morte di Cömert causa un fortissimo aumento delle proteste, con decine di migliaia di persone riversate per strada a portarne la bara, la rabbia esplode quando la polizia impiega i lacrimogeni per disperdere la folla e viene richiesto l’intervento di mezzi armati dell’esercito.

A Smirne la polizia effettua retate in cui arresta una quarantina di persone accusate di aver incitato persone ad unirsi alle proteste via twitter ed altri social media.

Il 5 giugno diversi sindacati indicono sciopero generale, aggiungendo ai manifestanti una massa consistente di lavoratori di diverse categorie, avvocati, insegnati e pubblica amministrazione in testa. Piazza Taksim alla vigilia del ritorno di Erdoğan raggiunge il massimo di manifestanti dall’inizio delle proteste. Nel parco Gezi intanto la gente ha iniziato a formare infrastrutture quali cucina, un pronto soccorso e nel corso dei giorni il luogo si svilupperà sempre di più fino ad ospitare un barbiere, un pianoforte a coda su cui si esibiscono vari artisti ed altri eventi d’intrattenimento. L’atmosfera nonostante le continue notizie dei brutali interventi della polizia in tutto il paese si mantiene sempre festiva e calma.

Erdoğan torna il 6 giugno, accolto da una folla di migliaia di sostenitori dell’AKP.

Il 10 giugno il vice primo ministro Arinc dichiara che Erdogan è disposto a incontrare rappresentanti dei movimenti di protesta la sera del 13 giugno. Il 13 l’incontro ha luogo e il Primo ministro dichiara di volersi rimettere alla sentenza della magistratura a cui si sono appellati gli oppositori della demolizione del parco, proponendo inoltre un referendum. Un altro incontro avviene lo stesso giorno tra Huseyin Avni Mutlu ed altri manifestanti. Sembrerebbe che ci siano le premesse per allentare la tensione ma gli avvenimenti che seguono l’incontro fanno precipitare di nuovo la situazione.

“Ciapullatore”

Ciapullatore (inglese: chapulling) è un neologismo utilizzato durante le proteste. Esso deriva dal ricorso al termine turco “çapulcu” (tradotto approssimativamente con “ladro”, “saccheggiatore” o “vagabondo”) fatto dal Primo ministro Erdoğan per stigmatizzare in maniera spregiativa i manifestanti. La parola è stata ben presto adottata e riadattata dai manifestanti e dagli attivisti on-line col nuovo significato di “attivista per i diritti della persona”.

Il Primo ministro Recep Tayyip Erdoğan ha detto durante un discorso, riferendosi ai manifestanti: Non possiamo solo rimanere a guardare alcuni “çapulcu” che fomentano il nostro popolo. […] Sì, costruiremo anche una moschea. Non ho bisogno di permessi per questo, né del Presidente del Partito Repubblicano del Popolo (CHP), né di pochi çapulcu. Ho già ricevuto il permesso dal cinquanta per cento dei cittadini che ci hanno eletto come partito di governo.

I manifestanti hanno ben presto deciso di riappropriarsi del termine, e cominciato a definire se stessi, çapulcu. In pochi giorni, il termine, che ha di solito un’accezione negativa, ne ha assunta una positiva, di auto-identificazione. Dimostranti al Parco Gezi provenienti da vari Paesi hanno postato nei social media loro foto con cartelli scritti nella propria lingua, come: “Sono un ciapullatore”. Anche il critico, linguista e filosofo statunitense Noam Chomsky ha dato il proprio sostegno al movimento, che si è definito come un chapuller, registrando il messaggio che “tutto il mondo è Taksim, è ovunque resistenza”. Anche Cem Boyner, Presidente del Boyner Group, ha fornito il proprio sostegno al movimento, mostrandosi con uno striscione con scritto Cem Boyner’den, ‘Ben de çapulcuyum’ çıkışı

È stato riferito che la Turkish Language Association (l’Associazione per la promozione della lingua turca) ha cambiato la descrizione del lemma “çapulcu” nel suo dizionario online, inserendo la definizione di “ribelle” al posto del suo significato tradizionale di “saccheggiatore”, in risposta a quanto avvenuto,ma l’associazione ha detto che non era questo il caso.

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