Tahar Ben Jelloun, “Partire” (2007), Bompiani, Milano 2007.
Il fondo del tè alla menta diventa nero nelle lunghe ore trascorse a sorseggiare e ad aspettare sul lungomare di Tangeri. È in quell’ozio senza tempo che Azel, vent’anni e una laurea, insegue il sogno di una vita migliore. Di là dal mare, nelle serate in cui la calura e l’umidità hanno ceduto il passo alla frescura e al cielo limpido, s’intravedono le luci della costa spagnola, fiammelle di libertà, di benessere, lavoro, speranza.
Ma tutto ciò ha un costo che per Azel non sarà quello di pagare lo scafista, di aver tradito la propria famiglia, la città, il suo Paese, di lasciarsi alle spalle attese e sentimenti ma di dover cedere il suo corpo, di dover accettare il ricatto sessuale del suo protettore spagnolo. Miguel gli darà lavoro, gli promette fortuna, ma è anche innamorato di lui. Lo vuole, nasce un rapporto omosessuale, come dire unilaterale.
Un prezzo particolare, speciale, ma comunque un prezzo come un altro che l’immigrato, il clandestino è costretto a pagare alla ricerca di una felicità che quasi sempre non arriverà, anzi si scontrerà con la selettività dell’Europa ricca, con la violenza degli uomini, la discriminazione, la separatezza, la «reclusione» nei quartieri ghetto delle metropoli. Quando va bene.
Categorie:G05- Letteratura araba moderna e contemporanea- Modern and Contemporary Arabic Literature
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